30 agosto 2006

Ancora lezioni di dignità da Israele

La generosa Norvegia, sempre pronta a offrire soluzioni e appoggi allo scopo di lenire le ingiustizie nel mondo, questa volta ha commesso un errore di ingenuità del quale ogni uomo nato libero dovrebbe però esserle riconoscente.

Con la sua offerta della cittadinanza norvegese a Yossi Sarid, per permettergli la partecipazione al (udite, udite!!!) "Convegno internazionale sulla tolleranza e libertà di espressione", vietata però agli Israeliani, che si terrà a Bali in Indonesia, ha dato proprio a un Israeliano l'occasione per un'ulteriore prova di grande dignità e orgoglio!

Da Israele.net

28-08-2006

Yossi Sarid respinge la cittadinanza norvegese

Yossi Sarid, per lunghi anni parlamentare della sinistra israeliana (Meretz-Yachad), oggi editorialista di Ha’aretz, ha respinto un’offerta ufficiale da parte del governo norvegese di conferirgli la cittadinanza norvegese per permettergli di partecipare a un convegno internazionale su tolleranza e libertà d’espressione in programma a Bali, Indonesia. Il suo invito, infatti, era stato annullato in quanto cittadino israeliano. Tre mesi fa Yossi Sarid era stato invitato dal ministero degli esteri norvegese a partecipare al “Global Inter-Media Dialog” in programma a Bali, un evento internazionale co-sponsorizzato dal primo ministro di Norvegia e dalla presidenza indonesiana. Yossi Sarid era uno dei sessanta giornalisti invitati a prendere parte al convegno, il cui scopo dichiarato è quello “colmare il divario fra diversi popoli, culture e religioni”. Ma tre settimane fa l’ambasciata di Norvegia in Israele informava Yossi Sarid che l’Indonesia “nelle attuali circostanze” si rifiutava di garantirgli il visto d’ingresso. Secondo Yossi Sarid, il ministero degli esteri norvegese lo rassicurava tuttavia che una soluzione sarebbe stato trovata giacché la Norvegia considerava la cosa “una questione di principio”. Venerdì scorso i norvegesi hanno offerto la loro soluzione: Yossi Sarid avrebbe potuto entrare in Indonesia con un passaporto norvegese appositamente conferitogli. Il giorno dopo Yossi Sarid respingeva la proposta con una lettera indirizzata al presidente indonesiano e al primo ministro norvegese in cui afferma che “nessuna persona al mondo con un minimo di dignità, nessun persona che nutra un minimo di rispetto per la propria nazionalità accetterebbe questa distorta soluzione”. Yossi Sarid chiede agli altri invitati di boicottare il convegno come forma di protesta. (Da: Ha’aretz, 27.08.06)

Tags: israele, norvegia, cittadinanza, indonesia, yossi sarid, islam, ha'aretz

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28 agosto 2006

Il partito di dio distrugge e il partito di dio ricostruisce

Quando l'esercito israeliano (IDF) partì al contrattacco dei missili degli Hezbollah, si trovò sistematicamente di fronte a una serie di laceranti interrogativi. Quello che lo tormentava più di tutti era sul come agire ogni volta che le micidiali armi dei terroristi venivano localizzate sui tetti delle case civili libanesi.

La vocazione al martirio che tutte le organizzazioni fondamentaliste islamiche sentono e predicano, quando addirittura non impongono con la violenza, non appartiene di certo alla cultura di una democrazia solida come quella israeliana.

Proprio in questi giorni le proteste dei militari contro il governo di Holmert testimoniano quanto persino coloro che mettono a rischio la propria vita lo facciano con professionalità e che questa professionalità difendono contro chiunque la disconosca, anche contro i vertici dei comandi. L'IDF si è trovato quindi a doversi fare carico di tutelare anche la vita di donne e bambini libanesi che i sanguinari Hezbollah usavano come scudi umani a protezione delle loro basi, delle loro infrastrutture e dei loro missili puntati su Israele.

A volte gli sforzi per far sgombrare le famiglie hanno avuto successo, a volte no (spesso terroristi e civili simpatizzanti convivono, condividendo l'odio anti-sionista) ma l'organizzazione e i missili del partito di dio dovevano essere distrutti, per cui con essi sono cadute le "incolpevoli" case sottostanti. Inevitabilmente questo ha prodotto migliaia di sfollati, famiglie pronte a disperarsi davanti alle telecamere del mondo intero e l'aumento, se ce n'era bisogno, dell'odio contro lo spietato popolo ebraico con la sua "reazione sproporzionata" all'"innocuo solletico" degli Hezbollah.

Pertanto i fatti che si sono succeduti dal cessate-il-fuoco in poi ci fotografano due realtà che raffigurano, da una parte, la crisi di un governo sul modello occidentale, garante delle libertà e del rispetto dei suoi cittadini, e, dall'altra, il successo tra la popolazione di un esercito di fanatici che predica l'odio per la propria e l'altrui vita.

E' davvero quasi surreale osservare che mentre Holmert deve difendersi dagli attacchi dei suoi militari che lo accusano di incapacità e inadeguatezza, Nasrallah si riarma e si riorganizza coi suoi guerrilieri in attesa di nuovi ordini per muoversi anche dopo l'arrivo dei Caschi blu. Un terzo degli Israeliani chiede ragione di un mese trascorso nei rifugi in condizioni inimmaginabili ma nessuno chiede a Nasrallah ragione della morte di tanti innocenti spesso usati come bersagli dai terroristi. Le famiglie israeliane che hanno perso le loro case e i loro beni sono esasperate dalla "lentezza" delle pratiche per l'ottenimento dei risarcimenti dallo stato, mentre da Tiro si racconta di centinaia di sfollati che ricevono direttamente dalle mani di Nasrallah edi suoi accoliti dodicimila dollari ciascuno per la ricostruzione delle proprie abitazioni.

Le bandiere gialle degli Hezbollah sono issate sulle macerie che loro stessi hanno provocato ma la generosità di milioni di dollari per tempo pianificata proveniente dall'Iran (insieme a nuove armi) ne permette lo sventolìo rassicurante, in spregio a ogni senso comune e alla logica umana.

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26 agosto 2006

Questa volta ha vinto Bush

Chiunque ricordasse la prima campagna elettorale del velleitario isolazionista Bush Jr. potrebbe comprendere, spero, il titolo di questo post. Non si tratta nè di paradosso nè di ingenua faziosità filo-americana ma di una personalissima riflessione sulla realpolitik e sullo straordinario pragmatismo che da sempre guidano le scelte più difficili della Casa Bianca.

Qualche giorno fa, in un commento, attribuii alla mancanza assoluta di una leadershep internazionale (pensavo agli USA) l'origine della canea dei mediocri e narcisisti leader europei che si agita dentro la crisi mediorientale.

Ma mi sbagliavo e l'ho capito meglio leggendo l'articolo di Riotta di questa mattina: "...la mancanza di guida lascia ogni crisi senza regia, l'Onu preda delle lobbies, le democrazie smarrite. Non è la forza degli Usa a creare problemi, è la debolezza dell'amministrazione di George W. Bush, verosimilmente la Casa Bianca meno efficace dai tempi di Hoover...".

Secondo me anche Riotta si sbaglia.

I grandi sanno sempre come trarre lezioni dagli errori e come riposizionarsi, modificando piani, alleanze e pure atteggiamenti psicologici, come dimostra di aver sperimentato George W. Quando si candidò alla Casa Bianca del 2000 Bush ignorava persino come fosse disegnata l'Europa nella cartina geografica e neppure gli interessava particolarmente conoscerla. Fu il tragico 9-11 che lo costrinse a guardare il mondo oltre Atlantico e a cercare alleanze nell'UE per sconfiggere i Talebani, Saddam Hussein e il terrorismo internazionale.

La storia la conosciamo tutti e anche i costi pagati da questa amministrazione americana in termini di vite umane, di immagine e di finanze. Il nuovo Bush pianificò l'esportazione della democrazia nei paesi afflitto dalle dittature laiche o teocratiche, per creare condizioni di benessere e di sicurezza per un sempre maggior numero di popoli. Una missione che, nell'intenzioni della Casa Bianca, avrebbe garantito la sicurezza anche degli Americani, dentro e fuori i confini degli States.

Le cose andarono malissimo.

Spento l'impeto iniziale contro i Talebani e Bin Laden, i capi europei lasciarono Bush solo con alcuni fidati alleati, tra i quali l'Italia di Berlusconi. Esplose un devastante-devastatore antiamericanismo e antiberlusconismo grazie al quale per tre anni si son riempite le piazze del mondo di pacifisti incendiari, organizzati e fomentati dalle nuove internazionali socialiste.

Ci è voluta una donna come Condoleezza Rice per incardinare una nuova diplomazia che parlasse a un'Europa ostile, disunita, pacifista, inetta, velleitariamente convinta di poter balloccarsi nelle crisi arabo-mediorientali applicando il soft power. Guardando l'Italia Rice, come testimoniato dalla guerra nei Balcani, ha capito che sono i catto-comunisti quelli più pronti a sparare o bombardare avendo il controllo ferreo delle piazze, oltre a un bisogno, quasi infantile, di essere legittimati e, perchè no, favoriti, dagli odiati Yankee.

Bush si è chiuso discretamente nella sua stanza ovale e da lì ha generosamente blandito gli amici italiani, coprendo Prodi di lusinghe mentre Condy si concedeva agli sguardi languidi di D'Alema.

Israele, puntualmente, ha seguito l'esempio del suo maggiore alleato, angosciato com'è dalle minacce di distruzione che lo circondano. Gli USA hanno saputo muovere e smuovere le varie Cancellerie con discrezione, senza esprimere giudizi sgradevoli (neppure contro certe "foto opportunity" di D'Alema) o di fronte alle resistenze di alcuni, Francia per prima, sulle regole di ingaggio.

A un mese dalla conferenza di Roma Bush e Rice possono tirare il primo sospiro di sollievo, per la prima volta in guerra ci andranno i pacifisti. L'opinione pubblica americana vedrà certamente con grande favore questo capolavoro diplomatico coordinato a Washinghton, che, per la prima volta, la terrà al riparo da esposizioni ai pericoli di un altro terribile conflitto.

Insomma, il Presidente può ritenersi soddisfatto, salvo che per un rimpianto che gli viene dal dover constatare quanto strumentale sia stata la foga antiamericana, antibellicista, quanti danni ha causato e quanto tempo ha concesso al terrorismo per meglio organizzarsi ed espandersi,. causando una scia di morte che non vede confini.

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20 agosto 2006

Sta per uscire l'intervista all'uomo che aveva previsto tutto

Si chiama Massimo D'Alema e la sua antenata diretta era, senza dubbio, la divinatrice inascoltata, Cassandra.

L'intervista che sta per apparire su L'Espresso e che qui potete già leggere e ammirare in tutto il suo contenuto profetico, ci svela, semmai ne avessimo avuto bisogno, un uomo che potremmo definire: "l'uomo giusto al posto sbagliato!

Non per dire, ma se dopo aver letto queste sue dichiarazioni non converrete con me che l'attuale ministro degli esteri di una nazione tanto insignificante come quella italiana meriterebbe il governo del mondo, allora, scusatemi, ma o io o voi qui non si è capito nulla!

Riflettete, per favore e dite se il titolo di questa intervista non sarebbe dovuto essere: "Se me lo dicevi prima..." oppure: "Io te l'avevo detto!".

D'accordo, il simpatico diessino proprio profetico magari non lo è, dato che, col senno di poi obnubilato dall'antisemitismo e dall'antiamericanismo cromosomico dalemiano e di sinistra, potrebbe apparire "lievemente" scontato vederlo affermare, con tono severo e paterno, quanto gli Americani e gli Israeliani abbiano sbagliato in tutti questi anni.

E lo dice con quella stucchevolezza tipica del neo ministro che, in preda a delirio di onnipotenza, chiede pure riconoscenza a Israele!
Bene, anzi, male, ora che avrete di certo letto le parole di D'Alema vi consiglio la lettura di questo articolo apparso su Ha'aretz.
Dopodichè non vi potrà di certo sfuggire l'abisso che separa la cruda realtà delle cause di questo conflitto dalla mediocre analisi tutta ideologica e filo-terrorista scaturita dalla piccola mente comunista di Massimo D'Alema.

Per integrare il post precedente, rimanendo sempre nei rapporti italo-terroristici, ecco una testimonianza di Massimo Teodori che racconta dell'ingresso di arafat a Montecitorio.

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17 agosto 2006

L'Italia è rientrata nel solco della tradizione filoterrorista

Nel 1972, quando alle Olimpiadi di Monaco quelli di "Settembre nero" provocarono un massacro nel villaggio degli atleti Israeliani, tutto il mondo cominciò a conoscere la ferocia e l'odio che alimentava il terrorismo palestinese. Da allora una miriade di sigle, con Yassir Arafat sempre in qualche modo coinvolto, presero a indicare altrettanti gruppi del terrore tanto spietati quanto precisi nel diffondere paura e morte su scala internazionale. Anche l'Italia fu colpita dai fratelli, compagni nemici o alleati (a seconda delle convenienze) di colui che divenne il leader assoluto della Palestina. Eppure, nonostante anni di sangue sparso in mezzo mondo, il nostro governo Craxi del 1985, con il consenso trasversale di quasi tutto l'arco costituzionale, trattò col capo dell'Olp, favorendo la fuga dell'assassino dell'Achille Lauro, Abu Abbas e attirandosi le veementi proteste della Casa Bianca. Erano anni in cui Yasser Arafat entrava nei palazzi istituzionali di Roma col suo mitra in spalla ed era ricevuto con tutta l'affabilità che il suo valore meritava (?!). Quell'anno del 1985 si rischiò l'incidente diplomatico con gli USA, ma ne doveva valere la pena, visto il fine al quale i politici tendevano: tanta amicizia con Olp, Fatah, Flp e altri, ci avrebbe dovuto tenere al riparo dagli attentati da parte dei Palestinesi. Fortunatamente un Reagan pragmatico incassò il colpo e pace fu fatta. Però due mesi dopo, a Fiumicino, un commando armato (dimostrando assoluta ingratitudine verso l'Italia) sterminò 16 cittadini innocenti. Nonostante questo Arafat rimase l'amico fidato da proteggere. Nel frattempo, da anni, in questo clima idilliaco le BR ed altre organizzazioni clandestine andavano a scuola di lotta armata dai loro maestri mediorientali e da questi venivano riforniti di armi. Tranne che durante il governo Berlusconi, la politica estera italiana è sempre stata filo-araba e anti-israeliana, con un occhio benevolo proprio rivolto agli assassini di civili innocenti. Con questo spirito l'Ulivo non si dimenticò neppure del leader del Pkk, il terrorista curdo ricercato dalle autorità turche. E, a questo proposito, come non ricordare il primo governo D'Alema e il pasticciaccio brutto di Abdullah Ocalan? Anche in quell'occasione Palazzo chigi e la Farnesina si trovarono allo scontro con l'amministrazione americana, allora guidata da Clinton. Ma fu la Turchia che lanciò le peggiori minacce di rottura di ogni rapporto (prima di tutti quello commerciale), a causa di un'infantile quanto pericoloso gioco segreto condotto dai nostri sconsiderati politici del centrosinistra. La ricostruzione di questa vicenda meriterebbe molto spazio, per quanto è stata volgarmente gestita e resa intricata dai suoi protagonisti. Qui e qui le verità molto bizzarre e contraddittorie di Ramon Mantovani, il comunista recatosi in delegazione a Mosca per ritirare quel "pacco" ritenuto troppo ingombrante dai Russi, come dal resto dell'Europa dotata di un minimo di buonsenso. Ocalan venne scoperto subito ma ciononostante fu fastosamente ospitato in una villa vicino a Roma, protetta da un sofisticatissimo sistema di sicurezza. Là, sempre a spese di noi contribuenti, veniva viziato e ossequiato da una corte di intellettuali e politici della sinistra di lotta e di salotto. La vicenda si svolse tra la fine del '98 e l'inizio del '99 e si concluse tra gli imbarazzanti dietro-front di D'Alema e Dini. Al leader del Pkk fu mostrata la porta e un biglietto di aereo. Venne estradato tra profondi sospiri di sollievo di tutto il consiglio dei ministri ulivisti! Oggi, dal carcere, Ocalan detta ancora le condizioni al governo turco, offrendo il cessate-il-fuoco da parte della guerriglia di cui sarebbe ancora il riferimento. Alla stessa coppia D'Alema & Dini dobbiamo la liberazione dalle carceri statunitensi di Silvia Baraldini. Nell'estate del '99 la donna condannata per terrorismo dai giudici americani arrivò accolta a braccia aperte dalla solita Roma di lotta e di salotto, insieme ai mille movimenti di opinione fatti nascere per lei. Dopo la breve pausa dei 5 anni della Cdl a Palazzo Chigi, (durante i quali si era cercato "addirittura" di far tornare in Italia alcuni brigatisti pluriomicidi) il centrosinistra è potuto ritornare ai suoi antichi amori per i terroristi che combattono per l'eliminazione di Israele. Per questo Diliberto non sfiorerebbe mai la mano insanguinata di Bush, ma ha stretto vigorosamente quella "immacolata" di Nasrallah! In quanto a D'Alema, bè, si fa fotografare coi dirigenti di Hezbollah. Qui possiamo anche leggere cosa pensa di lui la comunità ebraica in Italia. Ed infine ecco una bella frase di Prodi: "Ora in Libano è emergenza, ma tra qualche mese dovremo riaprire la riflessione tra Israele-Palestina, altrimenti non vi sarà mai la pace". L'attuale premier sembra l'unico a non essersi accorto che a minacciare la pace e la sicurezza di Israele, ma probabilmente anche la nostra, oggi sono soprattutto Iran e Siria!, è scritto pure nella risoluzione 1701. -Veramente straordinario questo post di Phastidio -Ottimi consigli da Cantor a D'Alema -Il pessimismo di Bisquì

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14 agosto 2006

Un amico comunista e pure stregato dalle immagini

Lui è Zagazig. E' un tipaccio pieno di difetti. Il maggiore fra tutti sta nella sua ammirazione per Bertinotti! Però, siccome nessuno è perfetto, non posso non addossargli anche alcune virtù. La prima si chiama intelligenza, la seconda si chiama autoironia e la terza... Bè, mi verrà in mente. Ah, sì! E' un fantastico cacciatore di immagini! Scatta e pubblica splendide foto. Molte sono nel suo blog e io, per qualche tempo, gliele ho pure commentate. Ora che sa di me temo non si fidi più dei miei giudizi, cribbio! Ricorrerò ai miei Cesare (cosa che faccio raramente) per capire il mondo come lo vede Zag? Forse, ma a questo patto: giuri di non pubblicare mai foto di Prodi! Nè in bicicletta nè a cavallo con Borrelli. Io, da parte mia, continuerò a fotografare voci e a trarne immagini ... molto esclusive.

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10 agosto 2006

Quando il tg dice: "Ci sono vittime e feriti" penso che parli del nostro vocabolario

Attenzione! "Questo è un post accademicamente balneare o banealmente accademico!" Per quanto sto qui denunciando, l'antica Accademia della Crusca (l'istituto nazionale per la salvaguardia e lo studio della lingua italiana) deve essere caduta nel più profondo e irreversibile scoramento. Il nostro vocabolario è stato riformato più volte e i famosi accademici di Firenze lo hanno adeguato ai tempi, arricchendolo o impoverendolo (a seconda dei punti di vista) con molti neologismi entrati in precedenza nel nostro conversare quotidiano. Gli studiosi della nostra lingua volgare sono dei democratici e riconoscono dignità e diritto di visibilità nei dizionari dei nuovi termini coniati o adottati dal popolo. Fin qui tutto bene, se non temessi, visto quanto accade ogni giorno, che pure gli orribili svarioni lessicali commessi dagli operatori dell'informazione, protagonisti nei tg e nei vari media, finiscano con l'imporsi alle orecchie e agli occhi dei Tutori della nostra complicatissima lingua. Non è che voglio continuare a disquisire di un argomento del quale non sono neppure esperta (basta leggere i miei post per capirlo)! Voglio però pescare, nel mare magnum dell'analfabetismo giornalistico, una delle più irritanti, strampalate e spregiudicate variazioni al significato di un termine, diffusa dai media di ogni tipo. Avete presente: "...si contano vittime e feriti..." con tutte le variazioni intorno a questa nuova locuzione? Non so chi abbia lanciato questo strafalcione lessicale, quello che so è che nell'ambiente più conformista e corporativo dei media si è allargato a macchia d'olio e acriticamente viene usato con estrema noncuranza da quasi tutti i cronisti. Insomma dire "vittime e feriti" non ha senso in quanto anche i feriti sono vittime pur non essendo morti. "Vittima", se non seguito da "ferito" piuttosto che da "disperso", può riferirsi a un morto ma non può divenire sinonimo di morto. Lo so che dalle scuole italiane di giornalismo escono dei diplomati molto ben preparati ideologicamente, per cui le lacune linguistiche passano in second'ordine, ma ogni tanto qualcuno potrebbe alzare un ditino e dire al proprio collega: "...ehm, scusa, ma hai detto una scorrettezza.!." Eh sì, perchè da quando va di moda il "ci sono vittime e feriti" comincio a pensare che chi é vittima di un'ingiustizia, di un furto, di una passione, o, come scrive il dizionario, "chi subisce l'odio, la persecuzione altrui o, più in generale, soffre le conseguenze di un'azione negativa esercitata da altri nei suoi confronti, chi é vittima del tiranno, chi è vittime del razzismo, chi é vittima di una calunnia, chi è vittima di un raggiro e chi si sente vittima" sia considerato deceduto! In questa schermata di Google appaiono "vittime e feriti" come se piovesse e, soprattutto, come se nulla ci fosse da eccepire. Si noti come l'espressione "incriminata" sia ormai in uso anche in ambienti non esclusivamente giornalistici. Ah, signora mia...!

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5 agosto 2006

Niente vacanze? Vi mando io in Sardegna col "traghetto" ... tridimensionale

K. e A. si sono laureati a pieni voti in architettura a Torino. Per tutto il tempo degli studi sono stati i miei amatissimi pupilli. Appena laureato A. è tornato nella sua (e anche un pò mia) Sardegna e K. ha abbandonato la nativa Torino per seguirlo e sposarlo. Attualmente A. ha uno studio suo mentre K. lavora a Cagliari in questa società che progetta, tra l'altro, mondi virtuali. Gli oltre tremila km che ci separano fisicamente non sono nulla e ogni tanto ci ritroviamo a conversare quasi che fossimo ancora a Torino intorno alla mia tavola apparecchiata . E' successo anche ieri che Sardegna chiamasse e Norvegia rispondesse. Parlando del loro lavoro ho chiesto e ottenuto di conoscere in concreto qualche risultato di un loro progetto. Guardate quale meraviglia è scaturita dalla creatività di K. e del gruppo di progettisti col quale lei lavora! Potrete visitare una splendida Alghero di oggi e persino giocare interagendo dentro un'altra Alghero del '500. Attraverso questa Medina immaginata per contenere tutto quanto il mondo virtuale può mettere a disposizione sulla Sardegna, potrete muovervi, senza mai perdervi, come se steste viaggiando realmente nella terra dei nuraghi e di Tiscali. Entrate e poi ditemi se non devo andare fiera di avere degli amici così in gamba!

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1 agosto 2006

Siamo ciò che scriviamo non dove lo scriviamo

Le vie del web sono infinite ed infinite sono le occasioni che vi favoriscono incontri e confronti. Da anni mi ci diverto e dico proprio mi ci diverto, regalandomi il piacere di interagire con una minuscola porzione di umanità a geometrie variabili che si muove in un’altrettanto minuscola galassia dentro l’immenso universo di internet. Per mia fortuna ho capito presto che essere online significa mettere in gioco solo le proprie idee e non la propria esistenza. Idee, peraltro, che si sono scontrate e incontrate con altre idee più o meno felici delle mie, le quali (come spesso succede in questa stupefacente dimensione) mi hanno regalato momenti di sincera, seppur talvolta effimera, amicizia con altri internauti. Quando scoprii Tocque-Ville ne fui subito entusiasta, finalmente era nato un aggregatore non di sinistra! Uno spazio, potenzialmente illimitato, dove il diritto di parola era stato conquistato da destra ma non solo per la destra. Ovviamente, quindi, una sedicente liberale come me cominciò a leggere e a commentare i post di controinformazione e controopinione della straripante e soverchiante potenza mediatica della sinistra online. Finchè un giorno Lo Pseudo Sauro mi regalò questo blog e da quel momento entrai anch’io a far parte, coi miei balbettii, della blogosfera. Da allora TQV è cresciuta in modo esponenziale, subendo le inevitabili crisi di crescita fisiologiche tipiche di queste rivoluzioni. Altre aggregazioni si sono formate al suo interno ed io, se non fossi tanto pigra come sono, avrei aderito a tutti. Invece l’ho fatto poche volte; per esempio quando con piacere mi iscrissi a NeoLib per sostenere l’iniziativa di Jinzo, una persona che stimo e della quale apprezzo l’attivismo speso là dove più mi riconosco. Frattanto è stato illuminante muoversi nella città dei Liberi e notare che, come nell’Italia reale, vi hanno sacrosanta cittadinanza le opinioni, le idee e le ideologie più opposte e contrastanti. E, se pur entro certi limiti, anche qui qualcosa avviene come nella realtà politica e sociale del nostro Paese, dove la conflittualità all’interno anche delle rispettive alleanze riesce a toccare punte di litigiosità a volte insanabili o a volte solo strumentali. Per quanto mi riguarda, tuttavia, avere il privilegio di scrivere in un blog ed essere letta (almeno vorrei) lo interpreto come l’espressione più completa e preziosa di libertà. Senza pretese di apostolo della verità, ciò che vado scrivendo da anni è qui nel libero mercato delle idee dove vige la regola non scritta della domanda e dell’offerta, sottoposto al giudizio di chi legge e alle sue libere interpretazioni. Solo gli hacker potrebbero fermarmi, di certo non le opinioni diametralmente opposte alle mie. Queste viaggiano su un altro piccolo binario che non impedisce alle mie parole di essere lette da chiunque lo volesse. E’ con questo semplice concetto guida che ho accettato anche l’invito degli amici de Il Castello a far parte di questo aggregatore. Non so se questo si può definire spirito fusionista, il risultato è comunque quello di una rappresentazione, in una stessa colonna di post, di idee come le mie e di altre antitetiche alle mie. Ad esempio su argomenti come la pena di morte o l’omosessualità(molto esplicitati nel Castello), io continuerò a esprimere il punto di vista di chi, come me, non concepisce la pervasività dello stato in economia quindi a maggior ragione e con maggiore risolutezza non gli mette a disposizione la sua vita. Chiunque, da TQV a NeoLib o al Castello, mi darà l’opportunità di esprimere quel che penso avrà la mia gratitudine, perchè io sono ciò che scrivo e non dove scrivo. Concludo questo post estivo avvertendo che questo blog non chiude per ferie, in quanto la titolare le sue vacanze se l’è già consumate negli scorsi mesi.

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