31 marzo 2007

Sulla pelle dei condannati a morte

La pena di morte è quanto di più illiberale uno stato possa prevedere e applicare nel suo codice penale. Uno stato moderno che si dà dei limiti precisi e rigidi al fine di non gravare sulle libertà civili ed economiche di ogni suo singolo cittadino, dovrebbe, a maggior ragione, affermare che ancor meno la vita stessa dell’individuo non gli appartiene mai, anche quando si trattasse di quella di un assassino reo confesso.

La sicurezza collettiva è un bene che non richiede la morte di colui che l’ha violata, bastano un buon sistema giudiziario e di investigazione, la certezza della pena e le detenzioni sicure, per tutelare la società dai pericoli e dalle minacce che possono assillarla.

La morte civile di un condannato è già pena sufficiente senza che nessuno si possa arrogare il diritto di decretarne anche quella fisica.

Come il mio portafoglio non può essere, se non in minima parte, disponibile nelle mani dello stato, è addirittura impensabile che lo possa essere l’interezza tutta della mia vita!

Questo concetto, a volte quello meramente umanitario più che di filosofia politica, è da decenni entrato in molti codici penali di numerosi governi occidentali che, senza tanti strepiti, hanno abrogato la pena di morte dai loro sistemi giudiziari.

In Europa non esiste più e negli USA circa metà degli stati l’hanno depennata o hanno deciso di non applicarla mai.

Quando pensiamo quindi alle esecuzioni che avvengono nel mondo e annoveriamo gli Stati Uniti tra i paesi che selvaggiamente, alla stregua di quelli comunisti e teocratici, utilizzerebbero l’omicidio di stato, commettiamo un grave errore!

L’America non è un monolito pro pena di morte ma un insieme di stati federali che, neppure tanto lentamente, si sta evolvendo verso l’abolizionismo per motu proprio, grazie al pragmatismo di un popolo sempre disposto a riconoscere i suoi errori e a porvi rimedio nel modo più efficacie possibile.

Ci sono dei momenti di particolare allarme sociale che qualche volta bloccano questo processo ma il tempo darà ragione a coloro che credono che, se pur la Costituzione americana sia figlia di donne e uomini che dovettero difendere con le armi le loro proprietà e le loro conquiste, ora i tempi sono cambiati e le rudezze dei duri pionieri non sono più degne di una società moderna, civile e liberale, generata proprio da quella straordinaria Carta.

E’ per tutto quanto sopra che definire strumentalmente stupido, cinico e miserabilmente illusorio quanto si è mosso in questi ultimi mesi intorno a una moratoria contro la pena di morte nel mondo è legittimo quanto doveroso.

Il dramma delle condanne a morte è diventato merce di scambio dentro la coalizione del governo italiano, che lo ha usato a scopi di meschina propaganda, determinando aspettative, destinate a fallire, in tante persone in buona fede.

Oggi che Prodi e D’Alema non hanno più bisogno di cavalcare strumentalmente l’inutile e cinica campagna da loro portata, sforzatamente, dentro l’ONU, fingendo di non sapere che presto l’avrebbero abbandonata, è rimasto il solito frusto digiuno del solito narcisista Pannella, ancora una volta impegnato a dibattersi in cerca di visibilità sulla pelle di coloro che (per fortuna pochi) si sono illusi di aver rimandata per breve tempo (moratoria significa rinvio) l’esecuzione della sentenza capitale.

Tags: Pena di morte, Governo Prodi, Moratoria

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29 marzo 2007

Liberalizzazioni spettacolari

Domani 30 marzo il Senato voterà la fiducia sulla conversione in legge del decreto definito, con grande sprezzo del ridicolo, decreto Bersani sulle liberalizzazioni!

La fragile ma implacabile Dittatura della Minoranza ha esautorato il Senato da ogni sua prerogativa costituzionale di intervento in sede legislativa. Pertanto, alla luce di una riforma fattuale, prendiamo pure atto che quella italiana è una Repubblica incostituzionalmente monocamerale.

Domani la fiducia sulla famosa “lenzuolata Bersani” otterrà l’appoggio di cui Prodi ha bisogno e gli Italiani potranno mettersi il cuore in pace e a capo chino subirsi la riformicchia minacciata da mesi ma già in vigore per decreto.

Qui, per ora, ci accontentiamo di estrarre dal magico lenzuolo liberalizzatore un provvedimento a caso, quello assurdamente illiberale relativo al mondo dello spettacolo.

Recita l’art. 23 del Dl:

”Interventi a favore delle imprese di spettacolo

1- Gli organismi dello spettacolo, nelle diverse articolazioni di generi e settori, attività teatrali, musicali e di danza, nonché di circhi e spettacoli viaggianti, costituiti in forma di impresa, sono considerati piccole e medie imprese secondo la disciplina comunitaria.

2- A tale fine le imprese dello spettacolo usufruiscono delle agevolazioni nazionali e comunitarie previste per le piccole e medie imprese, in applicazione del decreto del ministero delle attività produttive 18 aprile 2005.

3- I decreti del ministro per i beni e le attività culturali in data 21 dicembre 2005 sono conseguentemente modificati entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.”

Questo dispositivo, molto caldeggiato dai comunisti, statalizza in modo irrimediabile quanto di più libero e libertario, se non addirittura anarcoide, si esprime in una società di cultura autenticamente liberale.

Grazie a questo governo persino i saltimbanchi dei circhi diventaranno dipendenti dello stato, più di quanto non lo diventarono già col primo massiccio intervento attuato dal governo Craxi nel 1985.

La sovietizzazione iniziata coi teatri stabili che decretarono la fine della creatività, della competitività, della vivacità e del fermento artistico, trasformando i teatri in grigi apparati burocratici gestiti dalla nomenclatura pciista, avrà anche il contributo dell’UE, prodiga di elargizioni assistenzialiste che ingrossano il fiume di danaro del contribuente europeo, inesorabilmente disperso in migliaia di rivoli clientelari.

Per l’opera di questo centrosinistra avremo sempre più tv di stato, cinema di stato, teatro di stato, circhi, clown e ballerine di stato! Niente male per un governo che si proclama occidentale, tutto teso verso la riforma liberista delle sue istituzioni.

Qui il provvedimento della Cdl del dicembre 2005 che scatenò le piagnucolose proteste dei parassiti dello spettacolo capeggiati allora da Roberto Benigni.

Tags: Spettacolo, Liberalizzazioni, Decreto Bersani

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28 marzo 2007

Stampa libera...di tacere

In molti pensiamo che su tutta la grottesca vicenda di Vallettopoli dovrebbe calare un tendone pietoso, visti i registi e tutta la varia umanità che ogni giorno la anima.

Un’altra inchiesta che agiterà (come ciclicamente avviene già da prima dei tempi di Fanfani e le belle di giorno degli anni cinquanta) gli sfavillanti palazzi della politica da sempre visitati dalle signore/i desiderabili e desiderate dagli uomini tanto stressati e tanto bisognosi di sciogliere, tra accoglienti e costose braccia, le proprie opprimenti tensioni accumulate nel loro ruolo di potenti.

Da infiniti decenni si replica, a ogni fiammata giudiziaria cambiano gli attori ma non cambia il copione, se non nel titolo.

Chi ricorda i famosi “Balletti rosa” o quelli più imbarazzanti “Balletti verdi”?

Gli ingredienti erano sempre gli stessi: sesso, droga e rock & roll, il tutto ad uso e abuso dei vip del momento.

La coltre di omertà è ogni volta totale e le sue trame hanno sempre come garanti proprio gli stessi operatori dell’informazione.

Ogni fase si è consumata per anni in una sorta di normalità e di pratica diffusa e, in parte, ostentata di dolce vita condivisa, tollerata, accondiscesa in tutti gli ambienti coinvolti.

Quasi mai questa cortina è stata strappata da un’inchiesta giornalistica, ma piuttosto dal “tradimento” di qualche “gola profonda” che si scagliava in tremende vendette personali di sempre difficile interpretazione.

Oggi, volenti o nolenti, siamo tutti a conoscenza

dell’uso spregiudicato delle intercettazioni telefoniche a gò gò disposte dai pm, con buona pace della privacy, affetti da protagonismo e solleticati da strani individui che protagonisti ormai non sono più.

E ancora volenti o nolenti, certo più nolenti, assistiamo, impotenti, all’ennesima dilapidazione dei nostri sudati contributi all’erario, ad opera, questa volta e non per la prima volta, del pm Woodcock.

Intanto puntualmente i giornalisti amici scendono in campo quando gli scandali non sono più disinnescabili, indossano il trucco da verginelle strappate ai loro sogni di educande e cavalcano la tigre nazional-popolare avida di pruriginosità e generosa di ogni sorta di ricompense.

Le testate in servizio permanente effettivo a difesa del regime ci hanno abituati alle manovre di salvataggio del potente di turno, sia in pubblico che in privato.

In pubblico ci distraggono additando i personaggi di contorno e in privato utilizzano ogni informazione utile per mettere sull’avviso l’amico referente politico.

Clemente Mastella ce lo ha confermato. Non è dato capire se, più con calcolato candore o più con spudorata arroganza di potente, egli ha reso pubbliche le telefonate degli amici giornalisti pronti a metterlo in guardia su una spiata che lo iscriveva, alla grande, nell’ultima replica dell’eterno spettacolo di cui sopra, proposto, riveduto e corretto col solo cambio degli attori e delle coreografie.

E dopo aver letto del pronto soccorso al potente di Ceppaloni, si rimane perplessi e logicamente esterrefatti , quando ci viene imposto di credere alle dichiarazioni del direttore del settimanale Oggi, il ben strano Belleri.

Egli afferma, sfidando il ridicolo e la vergogna, di aver acquistato, per la modica cifra di centomila euro, le foto che ritraevano il portavoce (si fa per dire) del governo Prodi a “innocente” colloquio con una persona transessuale e di essersi macerato la coscienza in assoluta solitudine e nel totale silenzio!

Non fece cenno, millanta, a nessuno di questo suo atto eroico, neppure all’”ingenuo” on. Sircana!

E noi dovremmo crederci? Certo che no! Non esiste al mondo, soprattutto in quello giornalistico, nulla che neppure si avvicini a uno scenario come quello che il dott. Belleri ci vuol far intendere.

Quello che invece appare chiaro è che gli ambienti politici dell’area di centrosinistra godono dell’omertà vasta e rigida di buona parte della stampa e che nessuno riesce a scardinare questo meccanismo di complicità.

Eppure esistono giornalisti d’inchiesta diversamente orientati, fuori dai salotti cultural-politici del falso perbenismo di sinistra e lontani dalle barche ancorate a Saint Tropez, determinati a rompere il patto stretto da decenni tra stampa e regime.

Come si muovono costoro? Devono forse fermarsi quando il cordone di protezione dei potenti rischia di stritolarli?

I casi Sircana e Mastella sono solo la punta dell’iceberg che ci permette di intravedere qualcosa che va oltre le abitudini e i gusti sessuali di alcuni uomini di governo e di sottogoverno.

Ciò che allarma seriamente è la consapevolezza di come questo potere goda di una rete di protezione estesa dalle procure e dalle redazioni giornalistiche e come essa sia in grado di coprire altri illeciti di ben più grave portata e direttamente legati a un certo modo di amministrare la politica e le piccole e grandi istituzioni.

E se il caso Belpietro è la più eclatante forma di intimidazione operata in pubblico dai titolari e dagli emissari del regime, non meno inquietanti sono le pressioni che si indovinano inferte in privato ad altri protagonisti di quest’ultima inchiesta, destinata ad arenarsi sull’isola dei famosi, ex famosi e sconosciuti, qualche volta prestatisi alla politica, o, sarebbe meglio dire, ai piaceri dei politici.

Aggiornamento: i compagni del Tg3 bruciano sul tempo il Garante della privacy del centrosinistra e annunciano al popolo, nell'edizione delle 19, che il politico in crociera con trans, ninfette e coca sarebbe il forzista Martusciello. Attendiamo con ansia di capire quale trattamento la stampa di regime di cui sopra riserverà all'esponente del centrodestra.

Tags: Politica, Centrosinistra, Stampa e Regime, Vallettopoli

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21 marzo 2007

Rientro trionfale in pompa magna

Bentornato a Daniele Mastrogiacomo con l’auspicio che scriva un bel pezzo sugli altissimi costi di vite umane, economici e politici oltre che della sicurezza nazionale, che quelli come lui fanno pagare al nostro Paese, senza un ritorno, a fronte, neppure minimo, di alcun tipo di benefici.

Quello che è successo all’aeroporto di Ciampino è comunque patetico e perfino disgustoso. Un profilo basso sarebbe stato molto più accettabile di questa passerella (mancavano o forse no, solo nani e ballerine) di irresponsabili consapevoli che non finirà tutto con Mastrogiacomo.

E’ talmente noto che l’Italia è un paese che paga bene, lo sanno soprattutto i terroristi con fame di denaro, che al governo italiano lo continueranno a estorcere con estrema facilità.

Sarà una scia di dolore che continuerà all’infinito?

Avvertenza:

da oggi Perla si assenta per qualche giorno.

Arrivederci, ma mi raccomando, se una sana noia dell’argomento non vi ha già spossati e se gli sbadigli ve lo consentono ancora, leggete queste sagge parole, rare di questi tempi, di Phastidio.

A presto, cari amici!

Tags: Mastrogiacomo, Governo

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19 marzo 2007

Tutti al derby Omolandia-Normolandia

Nel giro di poche settimane sono stati lapidati, messi alla berlina, minacciati di querele e vari amenità, questi personaggi:

Silvio Berlusconi, Paola Binetti, Claudio Risè, Angelo Crespi e un tramortito Marcello Dell’Utri.

Le imputazioni sono varie ma, tutto sommato, portano a un unico capo d’accusa: razzismo sessuale.

La canea di questi ultimi giorni, agitata dagli abitanti di Omolandia contro i nemici di Normolandia, è diventata assordante.

E’ chiaro che trovarsi al centro degli spernacchiamenti provenienti dalle due comunità in lotta è cosa facile e tutt’altro che piacevole da affrontare.

Il frastuono da stadio diventa tanto forte che capire poi quale sia l’oggetto autentico del contendere è impresa assolutamente impossibile, se si appartiene al vastissimo restante mondo comprensivo di tutti gli orientamenti ma avulso da certe passioni, degne di miglior causa.

Per questi motivi in questo blog, fino ad oggi, non sono mai stati pubblicati post sull’argomento, noiosissimo e diffusamente banalizzato dai blogger, relativo alle scomuniche pro e anti Omolandia.

Sarebbe stato utile continuare a limitarsi a sorridere di tanto accanimento e lo si sarebbe fatto se in questi ultimi giorni non si fosse passato il segno di ogni forma di buonsenso e di rispetto reciproco.

Le tifoserie al derby di Omolandia-Normolandia amareggiano per la loro superficialità, pregiudizio, cecità e presunzione.

Si urla senza capire cosa stia succedendo e l’errore è sempre della squadra avversaria, anche se non si è capito nulla di come si è svolta l’azione in campo.

Allora, dopo aver letto e riletto, ascoltato e riascoltato gli imputati del tribunale del popolo di Omolandia (divenuti, per faciloneria speculare, gli eroi di Normolandia), l’amarezza e lo stupore per tanto spreco di parole e di intelligenze sono cresciuti ulteriormente, spingendo alla redazione di questo post.

Si è cominciato quindi con l’ascoltare la frase con cui Silvio Berlusconi, il più eccellente degli imputati, è incappato nelle maglie della giustizia delle organizzazioni omosessuali e dei loro sostenitori senza se e senza ma.

Quel giorno il Cav. sta appassionatamente tessendo le lodi delle signore, quando la sua enfasi su una benvenuta femminilizzazione della politica di centro-destra di cui è il leader viene interrotta da qualcuno al quale risponde: “no, guarda, i gay stanno tutti dall’altra parte...”. e, chiusa la piccola parentesi, riprende il discorso tutto stucchevolmente rosa.

Che avrebbe detto di sbagliato Berlusconi con quella incidentale parentesi? Nulla! Tutti siamo consapevoli dell’esistenza di un elettorato attivo e passivo, rappresentato dalle persone gay, che si orienta, all’80% e forse più, a sinistra.

Lo vediamo dalle presenze parlamentari, dal numero e dal potere delle organizzazioni e dagli stessi gay pride.

Pertanto, da un prezioso quanto raro elettore e simpatizzante gay del centro-destra, ci si sarebbe aspettati questa dura reazione di tipo meramente politico: “Caro Berlusconi, si faccia un esame di coscienza e, visto come ha scherzosamente ma precisamente fotografato la situazione, si chieda perchè le persone omosessuali sono schifate dalla Cdl, mentre non diffidano della sinistra, anzi vi si affidano, nonostante la repressione omofobica, di cui si è macchiata, sia ancora oggi viva e crudelmente perseguita dai regimi comunisti.

Invece no, fiumi di parole e di reprimenda sono stati sprecati perchè il tono del (in quel frangente) “femminista” Berlusconi non è stato ingessatamente politicamente corretto.

Nè assoluzioni nè condanne meritavano quelle tre parole ma bensì l’occasione per un approfondimento e una discussione sui tanti errori commessi da ogni parte.

Poi ecco la bordata di fischi contro Paola Binetti, (senatrice insoffribile), subito applaudita dall’opposta fazione, rea di aver dovuto rispondere forzatamente a una domanda da “Rischiatutto” posta da Mike Bongiorno in persona. Messa alle strette e non potendo articolare il suo parere sull’omosessualità, risponde A (deviazione) e non B all’assurdo quiz televisivo. Naturalmente da “deviazione” a “repressione” per l’attaccante Grillini il passo è breve e Binetti, costretta in difesa, tenta di illustrare dal suo ruolo di medico ciò che veramente intende per comportamenti omosessuali. Parla di morfologia, genetica ed endocrinologia e, ridendo, respinge come può le etichette che il più scafato Franco Grillini le incolla a ogni affermazione.

Ma, alla fine della fiera, in questo gioco delle parti Paola Binetti e Franco Grillini appartengono alla stessa parte politica e stanno votando e continueranno a votare insieme alcune modifiche di legge presenti già nel decreto Bersani, propedeutiche all’approvazione dei Di.Co.

E ora veniamo a Claudio Risè, contro il quale si è addirittura prefigurata la reintroduzione del reato di plagio!

Costui è uno psicanalista non uno psichiatra.

Chiunque abbia avuto interesse non aleatorio per questa forma di studio e “cura” della psiche, cioè dell’anima (un metodo che ha oltre cento anni di applicazione, con unico strumento di analisi la parola e come luogo di lavoro l’inconscio e le sue complesse dinamiche), capisce molto bene cosa intenda Risè quando parla di aiuto che lo psicanalista offre con l’ascolto all’omosessuale infelice (non all’omosessuale tout court) che si rivolge all’analista perchè non si riconosce nella sua condizione, al punto da provarne grande sofferenza.

Lo psicanalista non è un moralista ma un ascoltatore attento e saldamente convinto che risieda nel paziente, nella sua esclusiva volontà di conoscenza dell’origine delle sue nevrosi e delle sue angosce, la strada per un approdo a una vita relazionale più soddisfacente e serena, da tutti i punti di vista, a partire da quello affettivo.

La vita psichica di noi esseri umani, etero o omo, è sempre a rischio di

lacerazioni, deviazioni e sofferenze che partono dalla nostra infanzia e l’omosessualità (come l’eterosessualità) non sempre è ciò che noi esterniamo, tante sono le distorsioni e i condizionamenti che hanno origine dal contesto familiare nell’infanzia.

Ma ciò che appare bizzarro è che se una persona che si definiva eterosessuale scopre improvvisamente di non esserlo, quasi si applaude a questa presa di coscienza, mentre, al contrario, sembra che un gay non possa rinnegare quella che potrebbe essere, sempre più probabile e sempre più possibile, una condizione “semplicemente” indotta dall’assenza di una figura paterna, inequivocabilmente maschile, da interiorizzare e nella quale identificarsi, durante il travagliato e delicato passaggio dall’infanzia all’età adulta di ciascun uomo.

E se oggi, come dice il citato Nicolosi, un’iperpromozione dell’omosessualità ha permesso una discussione più aperta e una maggiore presa di coscienza personale, non possiamo che esserne tutti più felici.

A meno che davvero ci vestiamo di una nuova ideologia omosex e, escludendo gli etero, pretendiamo di sentir cantare tutti gli altri, in coro e rigorosamente senza solisti:

“Per ora rimando il suicidio

E faccio un gruppo di studio

Le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani.

far finta di essere sani”

(Giorgio Gaber)

Tags: Omosessualità, Psicanalisi, Blogosfera

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14 marzo 2007

La guerra è una tragica necessità, non una passerella per signorine

E il riferimento non è solo a Giuliana Sgrena, Giovanna Botteri, Lilli Gruber, Ennio Remondino o le due Simone.

La guerra non piace a nessuno, neppure a chi la ordina o a chi la combatte, ma quando è inevitabile bisogna lasciarla fare secondo le regole militari, sempre crudeli e inenarrabili.

Oggi, in aggiunta, chi combatte in divisa vedendo a rischio la propria vita e quella dei suoi commilitoni sa di avere spesso di fronte un nemico spietato che non usa le armi ma che si fa arma egli stesso.

In questo e in altri modi, il terrorismo si fa beffe di quelle convenzioni che a Ginevra gli Stati sottoscrissero e ai quali oggi non ci si può più appellare.

Ha imposto una guerra non più simmetrica (quella di quando le parti in conflitto si riconoscevano dalle diverse uniformi), costringendo i nostri soldati a combattere forze più insidiose e crudeli, dove pure i civili sono coinvolti per creare crescenti difficoltà anche morali proprio a chi li vorrebbe protetti lontani dal loro stesso fuoco.

E se, in tutto questo delicatissimo stato di aumentato pericolo, dove i belligeranti più esposti sono proprio coloro che rispettano le convenzioni internazionali, interferiscono anche delle figure come i giornalisti e i volontari, i rischi di favorire i fautori di un’offensiva mossa con un piede nella preistoria dei sacrifici umani e l’altro nella moderna informatizzazione diventano altissimi.

Dopo la guerra scatenata dai terroristi l’11 settembre, gli eserciti occidentali si sono trovati a fronteggiare un conflitto diverso, nuovo perché il nemico si nasconde ovunque per colpire vigliaccamente e indiscriminatamente.

Di questo non se ne sono resi conto i mass media, visto che continuano a mandare inviati di guerra come se fossimo ancora fermi agli eventi bellici di prima del 2001.

I corrispondenti di guerra di un tempo mettevano a rischio esclusivamente la propria vita e le responsabilità e gli oneri della loro incolumità ricadevano unicamente sulle testate giornalistiche per le quali lavoravano. Nessun esercito, neppure il più tribale armato di scuri e asce, ne bramava il corpo per farne oggetto di riscatto e di ricatto a un’intero Stato.

Questo sta invece avvenendo da alcuni anni, soprattutto contro la fragile e pusillanime Italia, incapace di tutelare seriamente coloro che rischiano di morire sul campo, per la vita di tutti.

Può un giornalista mettere a repentaglio la sicurezza di uno stato in cambio di tre colonnine di cronache di guerra immancabilmente faziose e di limitatissimo interesse pubblico, sempre e comunque?

Allo stesso modo, laddove sono impegnati i nostri militari, non dovrebbe essere permesso alle ong di essere presenti, per non favorire quel terrorismo occhiuto, attento alle ondivaghe dinamiche politiche, interne al nostro paese.

Sarebbe anzi meglio che gli interventi affidati oggi a un volontariato inerme e, qualche volta, collaborazionista del nemico, fossero in carico all’esercito, che riuscirebbe ad offrire gli stessi servizi di assistenza, forse migliori, alle popolazioni locali.

Militarizzare, ovunque fosse necessario, potrebbe essere il modo più sicuro per accellerare la fine di un conflitto come quello in atto in Afghanistan, riducendo al minimo le perdite di vite umane e del Tesoro, ancorchè quelle di credito internazionale dell’Italia.

Ma purtroppo, al contrario, con l’approvazione di questo dl, in arrivo al Senato, il governo Prodi si accinge ad aumentare le spese civili, con inutili sperperi finanziari e pericolose offerte di nuovi potenziali ostaggi.

Tags: Governo, Terrorismo, Giornalisti, Afghanistan

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12 marzo 2007

Ayn Rand alle elezioni comunali

Quando accettai di candidarmi nel Fremskittspartiet (il partito liberale norvegese) m’aspettavo qualcosa che assomigliasse a una campagna elettorale come tante ne avevo viste e affrontate in Italia.

Come quasi tutti sappiamo, da quelle per il rinnovo del consiglio di circoscrizione a quelle per il Parlamento europeo, si tratta sempre di buttarla sullo scontro con l’avversario/nemico politico, portando proposte spesso stravaganti e mancanti di assoluta concretezza ai fini della loro realizzazione.

Ci sono, costanti, tanta improvvisazione e l’affannosa corsa alla visibilità mediatica.

Il tutto è preceduto dalla formazione delle liste dei candidati, scelti dopo lunghi mercanteggiamenti di vario ordine e grado, presentate immancabilmente all’ultimo momento della scadenza di legge.

Le corse alle offerte e promesse di voti in cambio di interventi a favore degli interessi di questa o quella parte questuante di elettorato sono centrali nell’attività frenetica dei candidati.

Insomma, in Italia, improvvisarsi amministratori della cosa pubblica senza esperienza e senza ideali, più col senso degli affari propri o del partito che quello del bene comune, è più diffuso di quanto si immagini.

Pertanto, qualche piacevole dubbio che qui in Norvegia le cose sarebbero andate diversamente mi era venuto già pensando che il voto è previsto per il settembre 2007 ma il partito si muoveva con quasi due anni di anticipo.

Per fare cosa? Questa la domanda che mi ponevo ogni volta che mi si chiedeva di candidarmi.

Oggi l’ho capito!

Il Fremskrittspartiet non manda dei dilettanti allo sbaraglio a governare i comuni e le regioni ma impone a tutti coloro che concorrono alla campagna elettorale di frequentare corsi e seminari dove imparare a gestire un bilancio di un comune (i comuni norvegesi sono paragonabili alle provincie italiane), affrontando delle perfette simulazioni di intervento su autentici budget di spesa pubblica.

Si lavora, si studia e si impara ad essere liberali e liberalisti anche partendo dalla gestione del denaro che i contribuenti pagano per la scuola, piuttosto che per l’assistenza agli anziani o la biblioteca o la palestra nel piccolo o nel grande land.

I candidati vengono inseriti nelle liste dall’assemblea degli iscritti, che ne vota e ne decreta la posizione dal primo all’ultimo posto.

Il candidato è responsabilizzato e premiato con attestati e riconoscimenti per il suo impegno e a volte deve abbandonare per un intero week end le sue abitudini per immergersi full time nell’apprendimento delle politiche per la famiglia, piuttosto che sulla storia del liberalismo nel mondo e in Norvegia.

Oslo, dove ha sede il Parlamento, dista da questa zona 600 km, ma questo non impedisce ai deputati eletti di spostarsi e portare il loro bagaglio di esperienza anche a una sola ventina di persone che ascoltano e prendono appunti,.

Il deputato è il docente e, alla lavagna, con testi alla mano, spiega e interroga, fino a sottoporre agli allievi (suddivisi in gruppi di lavoro) veri compiti scritti, da risolvere applicando la pratica liberale e liberista derivante dai filosofi e dai teorici che hanno ispirato e formato questo partito.

Ed è qui che mi sono sentita presa da una forte emozione, durante l’ultimo modulo al quale ho partecipato, quando sul mio tavolo mi sono trovata due pesanti tomi con la firma di Ayn Rand!

“Leggete e imparate a conoscere le idee sull’oggettivismo e sull’individualismo di questa importantissima donna!” sono state le parole scandite dal deputato Tord e ribadite dal segretario regionale dell’FRP Torstein e che sono state musica per le mie orecchie di liberale randiana.

Una randiana che vede come i sedicenti liberali italiani finiscano inesorabilmente col fare cane di porco delle idee e degli ideali per i quali dicono di battersi.

E’ per me triste assistere ogni giorno alla polverizzazione di gruppi a volte riformatori, a volte neo, a volte persino socialisti (questi sono quasi un insulto all’intelligenza) o cattolici, che si aggettivano liberali ma che finiscono troppo di frequente con lo sciogliersi nell’acido del narcisismo e dell’egocentrismo, che è altra cosa dall’individualismo.

Parte di questi liberali li reputo miei amici ed è per questo che mi permetto, con affetto e senza pretese, di ricordare loro che sarebbe molto utile concentrarsi di più nel migliorare la politica e le istituzioni invece che la propria immagine o il proprio particulare, imponendo un approccio pragmatico vero alle questioni, senza dimenticare che la libertà dai nostri bisogni un pò meschini ci rende credibili e autorevoli quando ci apprestiamo a difendere le libertà della collettività.

Tags: Elezioni, Liberalismo, Ayn Rand, Norvegia, Italia

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8 marzo 2007

E' l'8 marzo, bentornato maschio!

Caro maschio,

oggi parrebbe, finalmente, tornato il tuo tempo!

Noi donne per anni ti abbiamo sepolto sotto una gragnuola di insulti; per anni ti abbiamo detto di poter fare a meno di te; per anni ti abbiamo relegato nel ruolo di femmina sbagliata; per anni ti abbiamo rimproverato di non piangere come noi; per anni ti abbiamo accusato di essere morfologicamente stupratore; per anni ti abbiamo accusato di non appagarci sessualmente; per anni ti abbiamo negato il diritto/dovere di essere genitore; per anni ti abbiamo dato dell’egoista che non esercita i suoi diritti/doveri di genitore; per anni abbiamo iper-protetto i tuoi figli dal tuo “strapotere di padre-padrone”; per anni ti abbiamo costretto ad accettare il nostro delirio di onnipotenza procreativa trasformandoti in un fuco; per anni ti abbiamo impedito di essere il modello forte e virile che recide il cordone ombelicale col quale, altrimenti, soffochiamo i nostri figli; per anni ti abbiamo chiesto di fare il mammo; per anni ti abbiamo chiesto di reprimere la tua sessualità troppo maschia; per anni abbiamo allevato, abortito o massacrato figli, nella nostra conquistata e libera solitudine; per anni abbiamo impedito ai nostri bambini di diventare adulti, piegandoti a concedergli i nostri stessi sì; per anni abbiamo colpevolmente confuso autorità e autorevolezza con autoritarismo; per anni ti abbiamo convinto che essere donne è sinonimo di pace; per anni ti abbiamo terrorizzato col nostro potere ancestrale di creeatrici e distrutrici; per anni ti abbiamo tolto posti di comando per occuparli scimmiottandoti; per anni ti abbiamo gridato di non essere uguali a te perchè migliori di te; per anni ti abbiamo imposto di approvare i nostri errori per non apparire politicamente scorretto.

Eh sì che, in partenza, di ragioni ne avevamo da vendere, poi le abbiamo annegate tutte in un odio e in una guerra di genere assurdi quanto autolesionisti dei quali stiamo raccogliendo i frutti avvelenati.

Affermavamo i nostri diritti dimenticando di essere complementari con te, nella diversità e nella parità.

Oggi che siamo sole, depresse, insoddisfatte, seduttive ma censorie, nude e disponibili ma castranti e inibitrici, cosa ci resta da dire?

Oggi, dopo aver cresciuto generazioni di Peter Pan violenti che si scatenano negli stadi, nelle piazze, nelle strade di notte, nelle scuole, contro noi stesse, cosa riusciamo a dire?

Psicologi, sociologi e politici lanciano l’allarme sociale e si accorgono, finalmente, che il modello familiare attuale è sbagliato perché mutilato dell’autorità genitoriale maschile.

Manca, sentenziano, quella figura portatrice dei veti, contrapposta a quella permissiva materna, fondamentale nella “registrazione” equilibrata dei freni inibitori di un individuo e che ne sviluppa l’autodisciplina, il senso di responsabilità e il rispetto di sé e del prossimo.

Ora, caro maschio, questa società preoccupata e spaventata ti reclama e se il sessantotto e il nostro femminismo non ti hanno irrimediabilmente svirilizzato, prova a riconquistare il potere al nostro fianco, partendo da questo 8 marzo, che questo volenteroso blog dichiara “giornata della riappacificazione sessuale”!

Va bé, una ci prova...

Tags: Otto marzo, Femminismo, Genitorialità

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7 marzo 2007

L'Unione rifinanzia la guerra per un anno

E si fanno chiamare pacifisti!

Ecco il decreto legge pubblicato nella G.U. e che domani sarà convertito in legge dalla Camera dei Deputati!

Tra le più stupefacenti acrobazie di retorica e di demagogia, con un gergo politichese intriso della più spudorata ipocrisia da parte di eletti del calibro di Ranieri dei Democratici di sinistra, di Mantovani di Rifondazione comunista e di Venier dei comunisti italiani, domattina il Parlamento approverà il finanziamento delle nostre missioni militari all’estero fino al 31 dicembre 2007, invece che solo fino al 30 giugno!

Tanta è la paura di questa inesistente maggioranza di spappolarsi ogni sei mesi che è riuscita nel capolavoro di stanziare 310 milioni di euro per la missione in Afghanistan, assicurata così fino alla fine dell’anno.

L’opposizione, logicamente, si appresta a votare sì, ma il sapore di continua presa in giro al suo “popolo della sinistra” da parte di questi pacifisti al potere non può non lasciare anche noi, che pacifisti non siamo, senza un senso profondo di disgusto.

Eccoli qui, da Fo a Zanotelli, quelli che implorano i loro referenti al Parlamento di non votare sì al la guerra!

Piccolo dettaglio: anche la missione Unifil in Libano è stata rifinanziata per tutto l’anno, peccato però che il mandato dell’ONU scada il 31 agosto e ancora non se ne conoscano le prossime risoluzioni, ammesso che ci saranno.

Tags: Unione, Afghanistan, Guerra, Pacifisti

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6 marzo 2007

Tacete, stupidi, il nemico vi ascolta!!

Daniele Mastrogiacomo, di Repubblica, scompare domenica da Kabul e la notizia del rapimento arriva oggi alla Camera, al debutto del dibattito sul rifinanziamento della missione in Afghanistan!

Vogliamo tutti fortemente che il giornalista venga liberato subito, completamente illeso.

Il potere evocativo di questo sequestro, però, c’è tutto e riporta a un vecchio tragico copione, dai tempi dei terroristi sgozzatori di civili stranieri sequestrati in Iraq.

Il fine era quello di costringere i Governi della coalizione alla ritirata, spinti dalle pressioni della pubblica opinione.

Copione che quindi i terroristi in Iraq scrivevano per i media globalizzati di cui erano e sono spettatori e attori.

Gli sgozzamenti selettivi, mediatici e orripilanti, di cui erano vittime esclusivamente cittadini stranieri, appunto, appartengono ormai al passato.

Per la loro diffusione contavano sul supporto immancabile della fedele Al Jazira e di quello masochista di tutti i network dell’informazione globalizzata, sempre in gara per entrare in possesso di scene ad alto tasso emotivo e di audience.

Da tempo quei sacrifici umani videoregistrati sono stati abbandonati perchè, nonostante le pressioni o l’indifferenza colpevole di gran parte dell’occidente, la ritirata della coalizione dei “Volenterosi” non ci fu.

C’è però un governo nei confronti del quale i terroristi non hanno mai smesso di fare pressione, con sequestri di suoi cittadini o minacce dirette anche al suo capo ed è l’Italia.

Ormai è risaputo come le tv satellitari e il web siano monitorati dal terrorismo internazionale e come sia esso informato dei fragili equilibri che reggono la politica estera italiana.

Perciò, allo stesso modo in cui qualcuno fa “digiuni di dialogo” per piegare, ai suoi opportunismi, compagni e avversari, usando il ricatto del proprio “martirio”, allo stesso modo la sinistra italiana riceve dai “compagni resistenti” (come li ha sempre definiti) quel supporto di terrore che rafforzi il loro no alle missioni italiane, presenti laddove la violenza del fondamentalismo religioso e del fanatismo anti-occidentale vorrebbe insediarsi per sempre.

Con l’ironia che merita osserviamo come il recente spavento dovuto al rischio di perdere l’enorme potere sequestrato in pochi mesi da questo centro-sinistra, lo costringa tutto ad approvare la presenza militare degli italiani in Afghanistan. Ma i fatti di questi ultimi giorni, con questa notizia della scomparsa di Mastrogiacomo, entrata come un fulmine nell’aula di Montecitorio, sta rendendo più dura la svolta a 180 gradi dei pacifisti eletti, che in questo momento si sentirebbero più a loro agio nei panni degli oppositori di questo governo guerrafondaio (!?).

Come i “resistenti” iracheni, anche quelli afghani seguono attentamente l’antiamericanismo viscerale dei Diliberto, dei Caruso e dei Prodi, accompagnato dal disprezzo per i nostri militari che per fortuna non sono morti né in cento né in mille a Nassirjia!

Non è difficile rendersi conto che ogni manifestazione o dichiarazione dei loro referenti, per migliore aggiunta oggi nella maggioranza, rafforza la volontà cieca di colpirci dei terroristi, mettendo in pericolo la vita dei civili e dei militari presenti in quelle zone ad alto rischio, ma questo la sinistra stupida non l’ha capito e e purtroppo non tace.

Tags: Afghanistan, Talebani, Terrorismo, Governo, Sinistra

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3 marzo 2007

Morire per Venere

Sono decine di migliaia i morti civili innocenti, trucidati per mano dei terroristi che infestano l’Iraq del dopoguerra.

Ognuno di noi è messo in allarme quotidianamente dal bollettino funereo diffuso dai media in mondo visione, ma, come vogliono le nostre autodifese psicologiche, il successo di ogni attentato stragistico di quei folli ci lascia sempre più indifferenti.

Ci animiamo solo quando l’inviato di turno racconta il dramma dell’America di Bush, colpevole di tanto spargimento di sangue.

D’altronde è di quello che il nostro quieto vivere ha bisogno, una risposta semplice al nostro elementare perchè di fronte a tanta inaudita ferocia fratricida.

Così siamo grati ai giornalisti, ai politici, agli opinionisti che in coro evocano il Vietnam, diventato il più facile esempio degli errori e degli orrori commessi da una troppo bellicosa quanto arrogante America.

Ci facciamo persuadere da chi ci dice che sarebbe bastato lasciare in pace Saddam Hussein e ignorare la sua potenziale opera di sostegno ai Talebani e a Bin Laden, finalmente sotto attacco delle forze NATO e di “Enduring Freedom”.

Che sarebbe bastato ignorare la sofferenza di un popolo oppresso da una dittatura tra le più crudeli del Medio Oriente.

Che non conta nulla, che anzi è un’invenzione della propaganda americana, la gratitudine che il popolo iracheno liberato esprime ogni giorno ai suoi liberatori anglo-americani.

Che, insomma, Bush ha tragicamente sbagliato e ora, rinsavito grazie alla batosta della sconfitta elettorale, sta giungendo a più miti consigli.

Tutto lì.

In fondo, però, c’è ancora qualcuno che pensa che invece le responsabilità per quanto sta accadendo in Iraq siano da addebitare alla puerile cecità di un’Europa politicamente inesistente e capace di nascondere la propria inferiorità, anche morale, dietro un pacifismo armato di ostilità verso gli Stati Uniti, troppo potenti e troppo inattaccabili da ogni punto di vista.

Ed ecco, quindi, che i satrapi delle cancellerie franco-ispano-tedesche e il fantoccio di turno alla presidenza dell’UE incrociano le braccia e lasciano che il sangue scorra sulle strade di Baghdad.

Come l’ultimo dei pusillanimi che si macchia di omissione di soccorso alla vista di un incidente mortale, i capi di stato europei contano i cadaveri iracheni aspettando che Bush (loro vero nemico) si arrenda al già reiterato: “te lo avevamo detto!”.

In fondo ci sono ancora di quelli che convintamente pensano che il terrorismo internazionale di qualunque sigla e di qualunque fanatismo, sia religioso che ideologico, non si sarebbe affermato a questi livelli se l’Europa si fosse alleata compatta, da subito, con gli USA.

Aver voluto isolare l’Amministrazione americana, indebolendola con costanti attacchi alla sua leadership, ha giustificato e rafforzato l’odio antiamericano già molto diffuso nei paesi islamici, alimentandone il fanatismo che ha inevitabilmente potenziato le organizzazioni terroristiche.

Chi non fa non falla, si dice, ma in questo caso l’ignavia dei leader europei ha causato e continua a causare lo sterminio indiscriminato di intere popolazioni o di singoli cittadini, di qualunque nazionalità e religione, sotto lo sguardo spento di questa parte di Occidente.

Tra patetiche esibizioni di grandeur, egoismi da bottegai, inefficace diplomazia del soft power applicata all’Iran, aspettiamo e preghiamo che l’unica forza al mondo capace di reagire ai pericoli che minacciano la nostra sicurezza perda tutte le sue guerre e che centinaia di migliaia di civili e di soldati siano morti per niente, o, sarebbe meglio dire, per la vanità di Venere.

 

Aggiornamento: 

Queste e queste, nonostante le mie personalissime tesi, sono le letture che meglio apprezzo e con le quali non posso non fare i conti.

 

Tags: Europa, Terrorismo, Iraq, George W. Bush

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1 marzo 2007

Dead man walking

Si sapeva in anticipo che i Senatori anziani avrebbero accolto l’ennesima richiesta di grazia dell’uomo condannato, da tempo, a morire col suo Governo.

Anche questa volta Romano Prodi non affronterà l’ultima passeggiata verso l’uscita di scena dalla vita politica, attraverso il cono d’ombra dell’oblìo che merita.

E, come il miopissimo Mr. Magoo, emerge dalle macerie del palazzo, senza aver capito che il mondo intorno gli è crollato addosso.

E’ inutile, bisogna arrendersi all’evidenza, Romano Prodi è veramente un miracolato!

Un uomo inutile, un corrotto, un nepotista, un boiardo di stato, un inascoltabile biascicatore di parole, che però da quarant’anni vive nei Palazzi del potere.

Che pessimo modello per le giovani generazioni post-post sessantottine, incerte tra le carriere nei reality show, nei centri sociali, nei black-block, nella clandestinità armata o nel parassitismo alla Prodi!

Avvertiamo però subito i giovani aspiranti che quest’ultimo sbocco professionale richiede un’altissima dose di fortuna, come l’esempio citato dimostra. Di fare i parassiti nella PA sono capaci tutti ma raggiungere i livelli di eccellenza prodiani non è affatto facile.

Per ora, comunque, tutto rimandato, fino alla prossima, imminente richiesta di grazia.

In chiusura preciso che nel mio post di ieri (un doveroso omaggio alla Fabbrica del Programma dell’Unione, tornata di stringente attualità) sono anticipati i voti della fiducia a Romano Prodi, sbagliati di 1, in quanto non contavano l’assenza di Sergio Pininfarina.

Tags: Romano Prodi, Senato, Mr. Magoo

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