29 dicembre 2007

L'interesse di Prodi

Dalla conferenza stampa di fine anno di Romano Prodi:

“... sono intervenuto nella... sostegno che una legge elettorale debba avere la più vasta rappresentanza possibile... Sono convinto che il lavoro che si sta facendo... sarà anche uno strumento per una ricomposizione, per un riaccorpamento delle forze politiche. Quel che io voglio è che, evidentemente, rappresentando tutta la coalizione, non vi sia una messa fuori gioco dei partiti minori...”.

Con queste tra loro contraddittorie parole (spesso bofonchiate e a tratti inintelligibili), il Presidente del Consiglio ha sancito la perpetuazione del potere dei partiti, della supremazia dei loro interessi di casta sugli interessi generali del Paese. Lo ha fatto badando alla sopravvivenza della propria coalizione in mano alle sue componenti più piccole e più estremiste, che temono di essere cancellate dalle riforme proposte da Berlusconi e Veltroni, le quali punterebbero alla riduzione dell’attuale numero dei partiti, tramite uno sbarramento che lascerebbe i piccoli fuori dal Parlamento.

Questo è un premier che perde sostegni da tutte le parti ma che, con la massima pervicacia possibile, a dispetto di tutto e di tutti, si tiene incollato alla poltrona, accarezzando verdi e comunisti con parole di miele; parole che in cambio già gli stanno assicurando fedeltà e protezione dalle minacce di alcuni di rovesciargli la tormentata maggioranza.

Pur di mantenersi al potere (anche se in modo traballante) Romano Prodi non esita a deporre una pesante pietra tombale su ogni possibilità di riforma che riduca il numero dei partiti e, di conseguenza, prosciughi il mare magnum di debito pubblico, sempre più dilagante, a causa, per buona parte, dell’ingordigia di questa partitocrazia parassitaria di cui oggi Prodi si fa opportunisticamente paladino.

Alla fine di una conferenza stampa animata (si fa per dire) da una scelta rappresentanza del giornalismo italiano (vergognosamente attenta a non irritare il capo del governo), si è toccato il fondo quando Luverà del tg1 ha posto la sua domanda citando il New York Times, dove l’ambasciatore americano a Roma avrebbe paragonato l’Italia a un bellissimo albero di duemila e cinquecento anni, aggiungendo però che “Bisogna tagliare le erbe infestanti che rischiano di soffocarlo”.

“A suo giudizio quali sono le erbacce più pericolose per l’Italia che vanno tagliate?” chiede Luverà a Prodi che risponde: “... prima, la più grossa è la malavita... Seconda un unico interlocutore, cioè la pubblica amministrazione che funzioni... Metto in particolare rilievo la giustizia che sta danneggiando enormemente la nostra economia... Qualcuno aggiunge il grande problema dell’invecchiamento...” (?!)

Una domanda graffiante e una risposta brillante!

Se, casomai, a qualcuno fosse venuto in mente di identificare nell’erbaccia cattiva e infestante proprio la classe politica di cui Romano Prodi è divenuto l’esemplare più rappresentativo, allora si rassegni e si autoconvinca che se in Italia, più che in ogni altro Paese civile, esistono malavita, malagiustizia, malaburocrazia e malgoverno, tutto questo non lo si deve, in nessun modo, imputare all’infestante malapolitica.

Tags: Romano Prodi, Partitocrazia, Riforme elettorali, Giornalismo

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24 dicembre 2007

Quando viene Natale

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21 dicembre 2007

Caro Cavaliere, si sottragga alla gogna

Caro Cavaliere,

abbiamo ascoltato, letto e riascoltato sul web e sulla tv pubblica la conversazione intercorsa tra lei e Agostino Saccà e siamo ancora increduli di fronte allo scempio del Diritto e dei diritti della persona che, con estrema barbarie (mutuando da Benedetto Della Vedova) i Suoi persecutori stanno commettendo per l’ennesima volta.

In questa occasione non ci interessa analizzare il contenuto di quanto è stato gettato in pasto al pubblico che, grazie ai potenti mezzi della Rai e al potere mediatico del web, non rimarrà di certo un pubblico solo italiano.

Caro Cavaliere, attraverso questa “missiva” (che Lei mai leggerà) vogliamo rivolgerle un urgente e perentorio invito: usi la televisione e lo faccia per raccontarsi a tutti!

La valanga di guano che le hanno scagliato addosso non si fermerà più, non esiste nulla e nessuno al mondo che abbia il potere di farlo. Lei verrà travolto e non ci sarà altro che la diffusa sindrome da buco della serratura a prevalere sul rispetto della Sua privacy.

E allora spalanchi quella porta e tolga a tutti il gusto pruriginoso dello sguardo indiscreto.

Di ciò che abbiamo ascoltato nulla ci ha sconvolti; Lei viene definito persona che mai interferisce sul lavoro dei dirigenti Rai e la stanchezza nella Sua voce, lo stupore e il sentirsi indegno per tanto affetto dimostratole dalla gente, ci hanno offerto un Silvio Berlusconi dimesso, stanco e assillato da chiunque possa avvicinarlo e chiedergli un piacere.

Ma c’è un momento di quella telefonata che più di tutti le sta valendo gli attacchi ferocissimi dei Suoi nemici e che mette a disagio molti dei Suoi amici: è quello nel quale Lei parla delle donne.

Sia coraggioso, quindi, si sottragga alle insinuazioni, alle ricostruzioni, alle speculazioni e racconti agli Italiani e al mondo, senza reticenze, cosa c’è dietro quelle Sue infelici parole.

Forse i Suoi connazionali non assomigliano ai cittadini anglosassoni, abituati, per la diversa cultura, a “perdonare” chi sbaglia, quando questi confessa di aver sbagliato ma (ammesso e non concesso, almeno per ora, che Lei abbia di che farsi perdonare) noi crediamo che valga la pena dare loro fiducia e affrontarli con sincerità.

Caro Cavaliere, lo faccia perché l’essere trasparente è ciò che si conviene a un leader forte che si candidasse a governare.

Tags: Silvio Berlusconi, Criminalità mediatica, Sinistra barbara

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Impiccagioni in Iran pensando all'Italia

Questo è ciò che, in fondo, ci vuol far credere L’Unità, commentando le ultime esecuzioni capitali ordinate dai tribunali teocratici iraniani.

Titola così il quotidiano rimasto ancora comunista: “Teheran contro la moratoria Onu: raffica di impiccagioni”!!

Segue l’articolo ancor più delirante del titolo.

Non è un mistero per nessuno che il voto dell’Onu sulla moratoria alle esecuzioni capitali sia stato il prodotto di un mero, squallido e frenetico scambio di favori tra diplomazie in cambio del voto alla risoluzione, favori che qualcuno ha pagato e continuerà a pagare ancora per un pezzo.

Tanto frastuono per nulla! Un frastuono che si è sentito però solo in Italia, unica nazione a battere la grancassa tra l’indifferenza silente dei mass media globali. L’Iran, al pari degli altri Paesi, non è stato sfiorato affatto da ciò che è avvenuto dentro il Palazzo di Vetro; basterebbe ricordare il discorso beffardo tenutovi da Ahmadinejad sull’argomento, qualche settimana fa. L’Iran non ha mai smesso di massacrare il suo popolo, in nome della giustizia divina, lontano anni luce da ogni riferimento a moratorie simboliche e non vincolanti, come i promotori stessi definiscono quella approvata nei giorni scorsi dall’assemblea dell’Onu.

Il nulla resta sempre nulla però i giornali come L’Unità non possono permettere all’opinione pubblica di continuare a maledire questo “buon governo” (come lo ha definito Furio Colombo) e si battono, senza temere il ridicolo, per dare a quel nulla un senso, una forza e una moralità che non ha.

E così tentano di collegare forzosamente la risoluzione approvata, “vanto immenso” dell’Italia, con l’ultima strage avvenuta a Teheran e dintorni.

Ma, prima o poi, passerà anche questa e i calcoli politici di Prodi, D’Alema e soci, basati sull’idea che gli Italiani siano tutti imbecilli e pronti a ridare una verginità a questa maggioranza per via di un’ipocrita messinscena nella quale si è calata senza nessuna vergogna, si potrebbero rivelare sbagliati.

Anche se (purtroppo) tutto l’arco costituzionale si è improvvisato nonviolento a buon mercato, sono però gli uomini al governo come Vernetti (che fino a pochi mesi fa non voleva neppure sentir parlare di moratoria) a raccogliere il trionfo (tutto casalingo) per questo “successo” fondamentale per l’umanità (quanto un sonnolento sbadiglio).

Ma, per fortuna, lontano dalle vanità delle rane di Fedro, il trend degli Stati che aboliscono la pena di morte continua a crescere mentre i pannelliani tentano goffamente di arrogarsene il merito.

Tags: Iran, Italia, Pena di morte, Moratoria, ONU

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18 dicembre 2007

Da Repubblica con furore

Repubblica del 16 dicembre:

”Bene, da ministro, Gasparri non solo ha stabilito rapporti di amicizia con Speciale, ma è stato più volte gradito ospite del “dispositivo aeronavale” del Corpo prima ancora che il generale ne assumesse il comando”.

Cosa ha voluto insinuare Carlo Bonini con questa frase? Cosa significa quel “non solo”? Gasparri si sarebbe non solo reso colpevole di aver utilizzato impropriamente gli elicotteri della Gdf ma sarebbe altresì reo di aver stabilito un’amicizia col generale Speciale??!!

In pieno stile killeraggio Pravda le parole usate in questo articolo mirano a insinuare nel lettore ostilità e sospetto, come se si trattasse di un’amicizia illecita stretta con un personaggio losco.

Un legame compromettente che nasconde qualcosa che va ben oltre i favori dell’uso degli elicotteri, visto che su quelli l’ex ministro delle comunicazioni ci saliva già prima che Speciale assumesse il comando del Corpo.

Interessante è anche il periodo preso in esame da Bonini: 2001-2007! Guarda caso gli uffici della Guardia di Finanza hanno prodotto i dati relativi ai movimenti dei “dispositivi aeronavali” avvenuti proprio durante il governo Berlusconi e poco dopo.

Si sa quanto Bonini, come il suo alter ego D’Avanzo, sia un giornalista serio che scava nei fatti e non si ferma davanti al primo ostacolo, però questa volta davvero non ha trovato neppure uno straccio di funzionario che gli mandasse una mail coi nomi, le date e i percorsi dei mezzi militari di trasporto registrati dal 1996 al 2001!

Se Repubblica avesse riportato anche i dati del quinquennio ulivista il caso dei mezzi aeronavali blu sarebbe uscito dalla vicenda Speciale-governo Prodi per essere “derubricata” dallo stesso pubblico e fatta rientrare in un altro “caso Italia”, quello delle Caste coi loro incalcolabili e scandalosi privilegi. Dopo la Casta dei politici, dei sindacati, dei giornalisti, dei magistrati, ecco quella dei militari.

Ma in questo momento serve alzare il polverone, sottrarre il governo al disgusto dell’opinione pubblica, creando degli accostamenti non pertinenti ai fatti vergognosi di cui sono protagonisti Prodi & co..

Bonini è riuscito a scatenare il salvifico gioco del “sì, però, hai visto gli altri? Sono anche peggio!”. Il polverone si è quindi alzato, tanti si sono gettati a corpo morto su una vicenda affatto nuova, cadendo nella trappola di Repubblica e dei suoi mandanti.

L’indignazione e il ribrezzo per quanto questo regime (fotocopia di un altro di stampo sovietico) sta causando alle istituzioni sono stati placati e annacquati in un corale moralistico sdegno politicamente corretto.

Intanto, mentre i capponi di Renzo continuano a beccarsi, il gran polverone protegge Palazzo Chigi dove continua il gioco al massacro delle già fragili istituzioni, al riparo dagli attacchi di un’opposizione sempre più indebolita.

Il generale Speciale è, insieme al governo Berlusconi, colui che ha collaborato alla realizzazione delle maggiori entrate fiscali di cui un governo ha mai potuto beneficiare negli ultimi decenni.

Questo lo abbiamo già dimenticato, come dimenticheremo le dimissioni del generale dopo che il TAR ha emesso una sentenza a lui favorevole.

Ci dimenticheremo presto anche le reazioni arroganti e scomposte dei ministri sconfitti, che prima accettano le dimissioni ma poi ci ripensano e le rifiutano, in un parossismo grottesco di dichiarazioni e di smentite che dura dal momento in cui il comandante delle Fiamme gialle finì nel mirino dell’opaco Visco e del suo governo.

Tags: Roberto Speciale, Governo Prodi, Disinformazione, Carlo Bonini

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14 dicembre 2007

Tutti gli uomini dell'Ingegnere

Giuseppe D’Avanzo scrive, scrive e scrive. E’ un cronista che ci ha sempre regalato momenti di grande giornalismo d’inchiesta! Però, se ci è permesso, diciamo che ci appassiona e ci coinvolge come la vista di uno scarabeo stercorario. Egli è un instancabile riportatore di verità rivelate o, diciamo meglio, di rivelazioni fotocopiate e ben confezionate che troppo frequentemente emanano pessimi olezzi.

Ed è di questo che l’indomito repubblicones si nutre alla stregua del simpatico stercorario, cioè di quel particolare materiale organico che da anni alcune procure sembrano produrre su sua precisa commissione.

Ci fu un tempo, prima dell’avvento delle tecnologie digitali, in cui un giornalista esercitava il massimo del suo fascino mentre a perdifiato gridava: “Fermate le rotative!”.

Ciò avveniva nel frastuono delle macchine quando, all’ultimo secondo utile, nel grande giornale l’incalzare degli eventi costringeva lui, cronista d’assalto, a cambiare la notizia quasi stampata.

D’accordo, è vero, questi momenti appartenevano più ai film sul genere di quelli di Billy Wilder o di Orson Welles e meno alla realtà delle tipografie italiane, nondimeno ci piace usare questa immagine per meglio figurarci il D’Avanzo, all’acme della sua giornata redazionale, quando, giunto ormai alla fine di un lungo lavoro di ricerche, di confutazioni, di sopralluoghi e di verifiche incrociate, stremato sta per mandare alla stampa il suo pezzo ultimato.

E’ lì, è in quel computer e da lì sta per essere inviato all’impaginazione.

Non ci sono dubbi e tentennamenti; pertanto il giorno dopo i lettori di Rep conosceranno tutte le spietate rivelazioni sugli intrecci politici e finanziari che si nascondono dentro le fondazioni di proprietà della sinistra, enti che gestiscono i tesori dei Ds e di altri partiti che ancora oggi si chiamano comunisti.

Un pezzo che gronda blood, sweat and tears, per quanto è duro e sofferto, e che finalmente toglierà il silenziatore a quella sordida guerra fratricida che da mesi si sta combattendo tra dette fondazioni e il Pd di Veltroni. Un’inchiesta che scava nei meandri affaristici e nei conflitti di interessi che avvelenano il mercato e la corretta concorrenza tra le imprese dove dilagano le pesanti cointeressenze della sinistra.

Il nostro eroe, stremato ma col cuore colmo di orgoglio professionale, è pronto ad affrontare anche l’esilio pur di pubblicare quelle dannate storie; già elabora le puntate seguenti, per le quali ha tracciato i grafici raffiguranti le ragnatele fitte e intricate dei percorsi lungo i quali serpeggiano i tanti milioni di euro che mai nessuno prima di lui aveva così compiutamente fotografato.

Ma...

Beh, proprio nel momento in cui sta per premere “invio” viene fermato dal telefono: un pony express ha un plico urgentissimo per lui! Lo apre e, incredibile ma vero, contiene verbali meravigliosi inviatigli dalla procura di Napoli affinché ne faccia il solito buon uso che sa.

Al diavolo la finanza rossa! Chi glielo fa fare poi in fondo di inimicarsi i padroni? Guarda l’ora, lancia mentalmente la fatidica formula: “Fermate le rotative!” e con due o tre copiaincolla il pezzo è pronto e Repubblica potrà, senza tanti patemi, uscire con l’abituale pallottola di quella cosa ben salda sul dorso del nostro solito coleottero stercorario. Il resto lo abbiamo letto a profusione e ancora a lungo ne leggeremo!

Quello che non leggeremo mai non è solo l’inchiesta sui traffici di denaro circolante tra tesorerie di partiti, fondazioni, cooperative, banche, ecc. legati strettamente all’attuale maggioranza ma nulla sapremo neppure di come e di quanto si è intascato Giuseppe D’Avanzo grazie alla cessione dei diritti del suo libro dal quale è stata tratta la fiction per Mediaset, “Il capo dei capi”.

Quali stranezze riserva la vita! Il giornalista di Repubblica ha venduto i diritti del suo saggio a una società che, dopo averlo pagato, ha incassato a sua volta non da un cliente qualunque, no, proprio da Mediaset di Silvio Berlusconi, quella Mediaset che oggi ha forti vincoli societari con quella stessa casa produttrice. Ce ne sarebbe abbastanza per una mente contorta come quella di questo cronista per instillare sospetti, mutarli in certezze, mostrando inesistenti e oscure trame fatte di misteriosi passaggi di denaro e di azioni societarie, il tutto “impreziosito” da brandelli di conversazioni telefoniche intercorse tra lui e qualche contraente e manager tv.

Sull’opera libraria di D’Avanzo vorremmo aprire una parentesi, perché se la trasposizione tv non si discosta dal libro (che non abbiamo letto), ci permettiamo di definire irreali quei dialoghi tra uomini d’onore che, se fossero stati tanto prolissi, avvenuti senza le prudenti reticenze, con le vitali omissioni di nomi propri di luoghi e di persone, non avrebbero garantito né a Riina né a nessun altro mafioso la lunga carriera criminale che conosciamo.

D’Avanzo ha raccontato una storia nella quale non è riuscito, lui che è un venditore di parole, abituato a metterle in bocca anche a chi non le ha mai pronunciate, a descrivere quei silenzi eloquenti, il non detto che il plurisecolare codice mafioso impone, sanzionando mortalmente i “quaquaraquà”, maldestramente descritti da D’Avanzo il quale, ad ogni buon conto, ha collaborato alla sceneggiatura del film.

Tags: Giuseppe D'Avanzo, Informazione, Politica, Affari, Giustizia spettacolo

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11 dicembre 2007

Accessibile. Liberi di navigare

Sotto l'Alto Patronato di Tocqueville e del suo sindaco, è online Accessibile, un sito interamente dedicato all’accessibilità nel web, a favore della campagna di informazione e sensibilizzazione sui problemi che i dispositivi antispam che rispondono all’acronimo captcha (completely automated public turing test to tell computers and humans apart) stanno causando alla libera navigazione degli utenti vedenti, ipovedenti, nonvedenti o dislessici. Il sito spiega cosa sono i captcha, quali problemi pongono e da quali limiti sono viziati, e segnala le alternative antispam che preservano l’accessibilità, tentando di sensibilizzare i webmaster dei siti che utilizzano spam ottici ad adottare metodi antispam più rispettosi dell’accessibilità. Buona navigazione, rigorosamente accessibile.

P.S. Se siete collezionisti di banner, abbiamo qualcosa per voi:

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La rabbia e l'orgoglio di Fini Gianfranco

Gianfranco Fini è preoccupato. Lo è molto e questo non gli giova, politicamente parlando.

Lo abbiamo ascoltato con attenzione durante l’assemblea di AN che si è svolta domenica scorsa e non abbiamo capito, perdonate, cosa abbia egli in programma per il futuro del suo partito.

Ciò che ci pare di aver colto è un certo nervosismo per quanto sta succedendo intorno a lui e sulla sua pelle, partendo dal poco rassicurante esodo di militanti e simpatizzanti di AN verso il Pdl di Silvio Berlusconi. Abbiamo capito che il giovane Fini non ama i cambiamenti repentini che seguono a decisioni altrettanto repentine che, al contrario, sono la prerogativa del leader dell’ex Cdl.

Fini si è sentito destabilizzato, lui che avrebbe continuato a militare tra le sicure mura della Casa delle Libertà, sacrificando, per amor di coalizione, parte della sua leadership.

Lo scrollone è invece arrivato improvviso e inesorabile, portando con sé lo sfratto e un’invito ad entrare in una nuova casa politica.

Una casa, stavolta, senza pareti divisorie, cioè senza più stanze e servizi autonomi e indipendenti. Un “open space” dove i partiti si confondono, perdendo la loro antica identità. Non più segreterie e direttivi nazionali e dirigenti politici con simboli diversi ma solo donne e uomini e un unico leader: Silvio Berlusconi.

In poche parole la fine di Alleanza Nazionale, così com’è strutturata oggi. Diventa quindi difficile dare torto al presidente di AN, se teniamo conto che in gioco c’è un’intera vita vissuta per il partito e una carriera politica solida, attraversata da un solo momento traumatico, riassorbito e metabolizzato attraverso una fase lunga, ponderata, organizzata e accompagnata dal presidente e i suoi “colonnelli” fino a Fiuggi e ancora un po’ oltre.

Con questi presupposti e con un pessimo stato d’animo, non scevro da un certo rancore personale, Fini ha parlato all’assemblea del nove dicembre, esponendo una relazione, a noi è parso, molto aggressiva e un po’ incoerente.

Un uomo con la sua esperienza politica, un passato da giornalista, un incarico ministeriale di grande prestigio, non può non aver misurato, con freddo calcolo e una buona dose di livore, frasi come questa”.....siamo alle comiche finali.”, parole dette col fine di stroncare le “inaccettabili” iniziative di Berlusconi.

Senza dubbio Fini aveva pesato bene l’effetto mediatico di quella frase e si era sicuramente prefigurato i titoloni e le strumentalizzazioni ad opera delle redazioni dei giornali, scritti e parlati, che sarebbero usciti quel giorno e il giorno seguente.

Grazie alle circostanze favorevoli verificatesi in contemporanea alla riunione di AN, quasi tutti i media hanno potuto offrire al pubblico due immagini contrastanti tra loro: un centrodestra litigioso e ai ferri corti con a fianco l’immagine di una sinistra unita, concorde e sorridente, sotto un sereno arcobaleno (nulla di più falso ma tant’è...).

La rabbia è una cattiva consigliera e forse il presidente di AN ha nascosto il dettaglio “irrilevante” che quelle comiche finali hanno già visto milioni di “attori” farsene interpreti.

Ma c’è un passaggio della relazione di Gianfranco Fini che ci lascia vieppiù perplessi ed è quello dedicato alla prossima legge elettorale! Egli ha minacciato di ostacolare duramente in Parlamento la riforma sulla quale Berlusconi e Veltroni si stanno accordando. Il motivo di tanta intransigenza non ci è dato capire. Salvo che per il premio di maggioranza alla lista vincente, previsto dalla proposta referendaria e non da quella di Veltroni, per il resto i due progetti si discostano di poco. I referendari parlano più chiaramente di sbarramento per le liste piccole, mentre il segretario del Pd parla, con un orrendo neologismo politichese, di sproporzionalità. Il punto dirimente che giustificherebbe quel mettersi di traverso per impedire l’iter parlamentare si chiama programma di coalizione. Secondo Vassallo (il collaboratore di Veltroni) la sua condivisione può avvenire anche dopo le elezioni; intorno al programma si stringerebbe la coalizione di maggioranza che, su queste basi, formerebbe il suo governo.

Fini respinge con forza questa soluzione e con altrettanta forza propone il programma unitario e il patto di coalizione prima di presentarsi alle urne.

Umilmente ma francamente questa rigidezza ci appare una mera questione di lana caprina, in quanto i partiti (speriamo sopravvissuti in pochi) presenterebbero in ogni caso le rispettive proposte di governo durante l’intera campagna elettorale e, comuni o no, sarà su quelli, divenuti stranoti a tutti, che si formeranno maggioranza e opposizione.

Fini, come quasi tutti i promotori del referendum, si dice pronto ad archiviare le firme raccolte per passare all’esame di ipotesi diverse, mattarellum e tattarellum compresi. E’ curioso, solo per inciso, notare che il prof. Vassallo è al contempo estensore del progetto Veltroni e membro del comitato di Giovanni Guzzetta. Un altro nome celebre presente nel comitato per il referendum elettorale è quello di Michele Salvati, ispiratore e realizzatore del Partito Democratico! Intanto, in settimana, alla Commissione affari costituzionali arriverà la bozza di riforma della legge elettorale sulla base di quella presentata a tutti da Veltroni. Dovrebbe essere approvata in poche settimane e annullerebbe così l’iniziativa referendaria. Ma di questo riparleremo nelle prossime settimane.

Oggi, nel nostro piccolo, esprimiamo la nostra comprensione a Gianfranco Fini, immaginando quanto possa essere doloroso e ed estremamente complesso sciogliere un partito organizzato in modo ferreo come Alleanza Nazionale; pertanto non ci aspettiamo che questo processo si avvii domani, anche se...

Da persone convinte che siano gli uomini che fanno i partiti e non viceversa, ci auguriamo che Gianfranco Fini trovi la calma e l’equilibrio di cui avrà bisogno per affrontare le “perdite” e i travagli che potrebbero verificarsi nella sua AN-Alleanza per l’Italia.

E visto che siamo in vena di consigli non richiesti ai ragazzi di AN, come a quelli di FI, UDC e Lega, che hanno lavorato insieme per il successo di molte iniziative comuni e che ora non sanno come superare le diffidenze che i vari leader hanno instillato nelle loro menti, suggeriamo di non guardare la spilletta col simbolo del proprio partito ma di chiedersi se si sentono ancora accomunati dagli stessi obiettivi, per i quali, solo poche settimane fa, avevano investito tanto tempo e (qualcuno) anche tanto danaro. Lavorare sulle stesse idee e sugli stessi progetti politici unisce concretamente le persone laddove l’ideologia del partito tenderebbe a dividerle. Basterà tenere presente che i partiti sono strumenti, mezzi transitori e non i fini ultimi da difendere a qualunque costo, specie se il costo, come avviene in Italia, lo pagano carissimo i cittadini esasperati.

Tags: Gianfranco Fini, Alleanza Nazionale, Alleanza per l'Italia, Berlusconi, Pdl, Riforma Elettorale

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7 dicembre 2007

"Compagno di niente...

... ti sei salvato dal fumo delle barricate / Compagno di scuola compagno per niente / ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”

Caro Venditti, il tuo compagno di scuola, più che a entrarci da impiegato (cosa troppo piccolo borghese), in banca ci è entrato da azionista di maggioranza e, grazie a quel fumo delle barricate sessantottine, da tempo si sta godendo l’arrosto dell’occupazione sistematica e piena del potere.

D’altronde pure tu lo hai aiutato mica poco e le tue fortune sono lì a testimoniarlo.

“Compagno per niente” continui a cantare nei tuoi concerti davanti a un pubblico troppo commosso per sentire quanto grottesche e insultanti suonino alla loro intelligenza quelle parole; compagno per molto, anzi per quel moltissimo che vi siete spartiti.

Compagno presidente, compagno banchiere, compagno imprenditore, compagno direttore, compagno capitalista, altro che compagno di niente!

Oggi però qualcosa del meccanismo sembra essersi inceppato. C’è una rabbia diffusa e crescente tra la base, che si sente tradita e abbandonata dai vertici fattisi casta tra le caste.

Ogni giorno di più i compagni delle periferie sono sfiduciati e pronti a togliere ogni sostegno ai loro rappresentanti nelle istituzioni cosicchè, con questa nera prospettiva dinanzi, i dirigenti comunisti tentano di arginare la crisi di consensi che, gira e rigira, può portare alla perdita delle poltrone.

La formula “partito di lotta e di governo” non regge più agli occhi dei militanti insofferenti che chiedono a gran voce l’uscita da questo governo.

Ne è scaturita una guerra intestina che sta mettendo a dura prova le doppiezze e i tatticismi tipici di tutti i partiti comunisti, specie di quello rifondarolo di Bertinotti. I dirigenti si interrogano e si dividono tra filo-governo e filo-opposizione, tra coloro che vogliono subito un congresso chiarificatore e quelli che temono la loro fine e preferiscono rimandare.

Che si dicono i compagni? Cose così: “Non ci siamo, non ci siamo! Allora neghiamo la fiducia a Prodi! No, abbiamo fatto un patto e lo rispettiamo. Allora chiediamo la verifica a gennaio! Ma la verifica de che? Bé, chiediamolo agli iscritti con un referendum! Ma perché solo agli iscritti e non a tutti i movimenti e alla base nella società civile? Allora votiamo la fiducia critica e poi ci concentriamo sulla Cosa rossa. Ma i Verdi e SD non vogliono neppure discutere di sfiducia e poi, se non sappiamo più chi siamo diventati noi, che identità vogliamo darci con quegli altri tre? Saremo un soggetto plurale unitario di sinistra. Uniti ma divisi. Un unica lista ma con tanti simboli. Quantunque attenti a non farci trascinare negli unanimismi unitari! Ma allora non è meglio fare il congresso? No! Dopo il referendum. Ma se poi vincono i no al governo? Bé cerchiamo di porre quesiti più articolati, Ma non sembrerà una cosa fasulla? Forse sì ma forse lo è più la verifica di gennaio, perché metti che dopo tre mesi dalla verifica ci troviamo daccapo a dodici, che figura ci facciamo? Ah, che bel momento di crescita democratica che stiamo vivendo, cari compagni!”

E intanto Liberazione tuona e, nel tentativo goffo di tranquillizzare qualche milione di rifondaroli inferociti, Fausto Bertinotti, ostentando massimo disprezzo per il ruolo di rappresentante di tutti i Deputati, agisce come un presidente della Duma russa, realizzando per sé il sogno del partito-stato.

A questo proposito riteniamo utile la lettura o la rilettura di Phastidio.net.

Purtroppo da Montecitorio non è arrivata alcuna mozione che chiedesse le immediate dimissioni di Bertinotti ma, al contrario, si è sorvolato su questo compagno presidente (come talvolta viene chiamato nel suo quotidiano) lanciatosi in penosi “ultimatum” al governo Prodi, sbraitando come un capo-partito qualunque preoccupato soltanto di tacitare le ire del suo elettorato.

Per ora gli equilibrismi dialettici e la demagogia sinistrese sembrano reggere l’urto della protesta. Ma fino a quando? Forse a lungo, se si affermerà l’ultima trovata schizofrenica di questa parte politica, quella cioè del voto di fiducia, concesso, che lo sappiano gli scontenti nel Paese, con tanta sentita e motivata sfiducia, com’è appunto avvenuto ieri.

Tags: Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, Antonello Venditti, Governo Prodi, Fiducia

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4 dicembre 2007

Un fascicolo, se rosso, vale più di un gip

Cesare Previti sta per subire un altro processo. Il venti dicembre dovrà presentarsi presso il tribunale di Brescia dove è stato chiamato a rispondere di calunnia (perché no di lesa maestà?) a danno di due mostri sacri della Procura di Milano: Ilda Boccassini e Gherardo Colombo!

E’ evidente che il number one degli imputati d’Italia merita ampiamente queste attenzioni giudiziarie, poiché si è macchiato di un gravissimo delitto, il più perseguibile dalla giustizia, quello perpetrato contro la corporazione dei magistrati...democratici e dé sinistra.

Nel 2003 Previti ebbe l’ardire di denunciare per abuso e irregolarità l’infallibile coppia di pm, in relazione all’ostinata segretazione del famigerato fascicolo 9520/95.

E questo in Italia non si deve fare, se non si è pronti a pagarne le inevitabili conseguenze penali.

L’anziano plurinquisito pagherà per la sua impudenza e, mentre siederà sul banco degli imputati, il fascicolo 9520/95 non verrà neppure sfiorato da occhi indiscreti.

Occhi avidi di conoscere il contenuto di quelle carte che da dodici anni (i topi dell’archivio del palazzo di giustizia le avranno già divorate?) hanno resistito a ogni ordine, per quanto proveniente dall’alto venisse, di entrare nella disponibilità della difesa nel processo SME.

Quel fascicolo rimarrà segretato e non ci sarà mai nessuno al mondo che ne potrà prendere visione.

In Italia cadono rumorosamente persino i segreti di stato che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza della nazione intera ma un segreto istruttorio che, una volta sollevato, potesse definitivamente squalificare Boccassini e Colombo, quello non si infrange, no!

A suo tempo il CSM ebbe pochi dubbi nel rispondere picche al governo, agli ispettori, agli avvocati e agli imputati che chiedevano chiarezza, soltanto chiarezza e fece quadrato intorno ai due pm e alla loro preziosissima pratica segreta.

Ribadiamo che tra pochi giorni un cittadino verrà processato per aver chiesto tenacemente di poter valutare nei dettagli gli atti di un procedimento d’accusa che lo riguarda ma che, come il protagonista de “Il Processo” di Kafka, morirà, ucciso dalla giustizia, prima di conoscerli.

Previti sa di essere sempre stato dalla parte politica sbagliata e osserva, crediamo, Prodi, D’Alema, Fassino e Mastella con rassegnato senso d’ingiustizia e d’impotenza. Loro sì che sono sempre dalla parte giusta, quella cioè che, come ai tempi di “mani pulite”, non li vedrà mai processati da una magistratura, oggi più di prima, alleata e riconoscente alla sinistra.

Clementina Forleo e Luigi De Magistris verranno quindi rimossi dal loro incarico di inquisitori di lorsignori e, da cattivi magistrati quali sono, finiranno la loro carriera dimenticati in qualche anonimo palazzotto di giustizia, ricordando che la legge è uguale per tutti ma che per alcuni, come si suol dire, è più uguale che per altri.

E il fascicolo 9520/95? Lui dorme profondamente ma nessuno se ne cura perché la giustizia, quella con la G maiuscola, da tempo giace in coma.

Tags: Politica italiana, Giustizia ingiusta, Previti, Forleo, De Magistris, Fascicolo 9520

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3 dicembre 2007

Il Cavaliere incerto di Mannheimer

A Renato Mannheimer va tutta la nostra riconoscenza per il contributo che offre all’esemplificazione del concetto di “interessata disinformazione” di cui (eufemisticamente parlando) ha fatto cenno Silvio Berlusconi durante la conferenza stampa di venerdì scorso. Chi più e meglio di un “tecnico” del calibro di questo editorialista del Corriere della Sera può possedere la chiave d’accesso ai segreti meccanismi mediatici fondamentali per orientare e condizionare le opinioni del pubblico? E se costui possiede anche uno strumento potente come una società di rilevazione delle suddette opinioni nonché, nel ruolo di committente, il maggior quotidiano nazionale pronto a diffonderle, perché negargli la libertà di dare al cliente le risposte rassicuranti che si aspetta e, allo stesso tempo, raffreddare l’entusiasmo di milioni di Italiani, scossi dall’inaspettata novità politica del momento?

Essere a capo di una società di sondaggi ha fornito quindi a Mannheimer il vantaggio di entrare da partigiano nell’agone politico militante, travestito da scienziato della comunicazione e quindi non sospettabile di faziosità, in quanto la scienza è, come tutti sanno, asetticamente super partes (?!). Pertanto eccolo lanciato nell’ultima rilevazione dell’orientamento di voto degli Italiani, effettuata partendo da un dato falso confezionato in casa prodiana e così illustrato: “La nuova scesa in campo di Berlusconi aveva letteralmente sparigliato lo scenario, provocando sul momento un forte incremento di consensi virtuali...Successivamente tuttavia la parziale contraddittorietà dei messaggi provenienti dal Cavaliere e la contemporanea esplosione di conflittualità tra le forze del centrodestra hanno rimesso in trambusto gli elettori della coalizione.”

Un mezzo sicuro per fare bingo, questo di Mannheimer e del Corriere che, continuando a offrire ai lettori l’immagine di un confuso capo dell’opposizione, raccolgono il doppio esito di alimentare sia il disorientamento degli elettori sia la conflittualità tra gli alleati, col matematico risultato finale di un abbattimento del gradimento da parte degli elettori di campo avversario. Ma, tutto sommato, a noi non piace giudicare come persona in malafede l’ex rivoluzionario sessantottino (oggi collaboratore fisso di Bruno Vespa, per il quale è sempre pronto a misurare il polso dei poveri sciagurati utenti telefonici a cui, da anni, va rivolgendo i più improbabili quesiti), preferiamo piuttosto ritenere il dott. Mannheimer simile a noi, vittime indifese e frastornate dalla disinformazione prevalente tra i media e, ad ogni buon conto, lo invitiamo a riascoltare qui le dichiarazioni del Cav. o, per risparmiare tempo, leggersi la sintesi in cinque punti elaborata da KrilliX.

  • Chiudiamo con questo piccolo indovinello: chi ha detto e perché : “Credo che sia una cosa buona che la Chiesa, così come ha rinunciato al potere temporale, abbia rinunciato ad avere un proprio partito nell’ambito della politica italiana. Credo che sia una cosa positiva per la Chiesa.”?

Tags: Silvio Berlusconi, Popolo della libertà, Renato Mannheimer, Disinformazione, Sondaggi

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