2 maggio 2007

La mamma che uccise tre volte

(Titolo tendenziosamente hitchcockiano)

Sull’assassinio di Cogne il ritornello più paradossalmente ripetuto è sempre stato: “i processi non si fanno sui media ma in tribunale!”.

E il paradosso sta nel piccolo dettaglio che in uno studio televisivo si affermi questo sano principio mentre il processo sta andando in onda proprio lì!

Ma tant’è, questa non sarebbe la contraddizione più grave collegata al delitto più nazionalpopolare di inizio secolo.

Nonostante tutto e fortunatamente, i giudici di Torino hanno lavorato sulle carte processuali e non su quelle stampate dai redattori dei giornali scritti e parlati di tutti i media.

Le imprecisioni, le suggestioni, le grottesche conclusioni propinateci, specie attraverso gli schermi tv, avrebbero messo ko anche la mente più raziocinante impegnata a districarsi nella soluzione del delitto perfetto di Cogne.

Qualcuno ricorderà che il lancio mediatico della signora Franzoni era maturato negli ambienti della sinistra aristocratica, quando l’avvocato Carlo Federico Grosso, uomo di sinistra (pregato dall’amico Violante, con casa a Cogne, ad assumere la difesa dell’insospettabile mamma) concordò con Maurizio Costanzo la prima uscita nell’omonimo programma tv.

Da quel momento in poi fu un successo di ascolti per chiunque ospitasse la sempre più sospetta figlicida.

Colpevole o innocente? Recita o è se stessa? Soffre o finge? Pazza o lucida? Queste e altre migliaia sono state le domande che i telespettatori si sono posti da quella notte del “Maurizio Costanzo show”..

Quante cose sono accadute da quella notte! La più ecclatante fu la rinuncia alla difesa della cliente da parte dello scaltro avv. Grosso.

L’incompatibilità procedurale con l’avv. Taormina fu il pretesto per l’abbandono della nave, ormai alla deriva, che utilizzò il principe del Foro di Torino.

Taormina, novello pigmalione, intensificò lo sfruttamento dei media, molto ben disposti verso quel prodotto.

Poi avvenne che si assunsero agli atti le perizie dei consulenti psichiatrici, tratte proprio dalle apparizioni tv dell’imputata, perizie che deponevano a sfavore, per cui Annamaria Franzoni smise di comparire sugli schermi.(salvo ritornarci, temporaneamente, per il lancio del suo libro).

Colpevolista? Sì, chi scrive qui lo è. Colpevolista convinta quanto convinta che Franzoni non dovrebbe essere detenuta.

Checché le difese lavorino di grande fantasia (una sola per tutte: l’assassino che fugge giù per le scale, dandosi alla macchia correndo con un sabot grondante sangue in mano e uno nei piedi!!!, tutto negli ultimi secondi residui ai tre minuti avuti a disposizione per massacrare il piccolo nel letto di casa), purtroppo per loro la fantasia non basta e le carte raccontano ben altre circostanze.

Ma, ammettiamolo, in quelle carte non c’è l’arma del delitto, non c’è un testimone del delitto e non c’è una confessione, indispensabile dopo che la scena di quel crimine è stata completamente alterata, a partire dalla insipienza della dott.ssa Satragni.

Ma il motivo decisivo per cui la mamma di Samuele dovrebbe rimanere libera sta, secondo noi, nell’esistenza di altre due sue vittime.

Si tratta di Davide, il suo primogenito, e Gioele, concepito dopo l’infanticidio.

L’infanzia si può violare in molti modi e quella di Davide e soprattutto di Gioele sono due infanzie violate proprio dalla loro mamma.

E’ stata la decisione di mettere al mondo un figlio, pensando esclusivamente ad egoistici ritorni di vario genere, sia mediatici, sia processuali o anche di gratificazione della sfera affettiva, ignorando colpevolmente i diritti alla vita serena di un figlio, a rappresentare un’altra “prova” del poco senso di maternità matura e responsabile di Annamaria Franzoni.

Eppure successe che, all’annuncio della gravidanza, l’Italia mammona si commosse.

Ma una madre che non tenga conto, preoccupandosene, dell’assenza dei presupposti ambientali idonei a far crescere il proprio figlio, che verrà condannato a vivere nell’incertezza e nel dolore di una famiglia sotto processo, si squalifica da sola.

Le conseguenze ormai sono evidenti e confermate dalla stessa Franzoni, la quale, il giorno dopo la condanna in appello, si è sfogata con l’avv. Savio e, tra le lacrime, le ha singhiozzato che i suoi bambini piangono sempre e le chiedono: “Mamma, ora dovrai andare in prigione?”.

Forse il codice penale non lo prevede ma se appena fosse possibile salvare la vita (quella psichica) di questi bambini, non rendendosi complici di una mamma sciagurata, sarebbe bello toglierli dal tritacarne della giustizia nel quale lei li ha gettati.

Quei due bimbi di traumi ne hanno già vissuti, ma, fra tanti, quello di diventare orfani di una mamma viva sarebbe il più tragico e irreversibile!

A questo punto qualcuno si chiederà: e il pericolo della reiterazione?

Che dire? Forse che tra un danno psichico certo, conseguente alla perdita di un genitore, e la probabilità remota della reiterazione sarebbe meglio impedire il danno certo.

Tags: Media, Infanticidi

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