30 ottobre 2007

Tutti al mare!

Il sistema proporzionale puro con tre preferenze non andava bene. Allora si passò, previo referendum popolare, alla preferenza unica. Ma la preferenza unica non andava bene. Allora si passò, previo altro referendum popolare, al sistema maggioritario uninominale con un quarto di proporzionale. Ma neppure questo sistema andava bene. Allora si passò al proporzionale con le liste bloccate. Ma neppure così le cose sono andate bene.

Come si voterà quindi la prossima volta? Nessuno lo sa.

Una cosa però crediamo di saperla ed è che ogni metodo qui sopra elencato funzionerebbe se adottato in qualunque altro Paese democratico.

Non esistono sistemi elettorali perfetti, da nessuna parte nel mondo, esistono però i rappresentanti seri dei cittadini, che li fanno funzionare anche a dispetto dei secoli.

Non servirà un’altra riforma per garantire la governabilità dell’Italia fino a quando i partiti nasceranno come funghi, allettati dai fiumi sempre crescenti di denaro pubblico, dagli enormi privilegi di cui godono e dal potere che prevarica e travalica nelle istituzioni siano esse pubbliche o private.

Troppo denaro e troppo potere circola nelle sedi dei partiti e nessuno è disposto a rinunciarci. C’è di più e di peggio se vogliamo e lo dobbiamo alla modifica del regolamento delle Camere attuata in pieno governo ulivista nel ’97, cioè la possibilità per i parlamentari di abbandonare i loro gruppi, nei quali l’elettore li aveva “collocati”, per costituirne di nuovi anche con soli tre eletti.

Pertanto il già frazionatissimo sistema dei partiti continua nella sua frammentazione, una volta dispiegatosi tra Montecitorio e Palazzo Madama.

Naturalmente la creazione di ogni nuovo gruppo è sempre un onere aggiuntivo nei bilanci di Camera e Senato che comporta, tra l’altro, l’acquisizione di nuovi costosissimi locali.

Attualmente, grazie all’interpretazione elastica dell’art. 67 della Costituzione, molti milioni di elettori del centrosinistra che avevano votato Margherita, DS, Ulivo ecc., devono scordarsi quei simboli e quei partiti perché, non avendo vincoli di mandato, i loro rappresentanti parlamentari si sono inventati altri simboli e altri partiti in una sorta di work in progress.

Pazienza, si dirà, basta che rimangano gli uomini a rispettare la sovranità del voto, legiferando secondo il mandato a loro affidato dal popolo.

E invece no!

Coloro che dovrebbero esercitare il sacro potere legislativo hanno trasferito tale delicata prerogativa nelle mani del sindacato, arrivando persino a sottoporre i disegni di legge all’approvazione degli impiegati nell’industria e nella magistratura.

Neppure l’art. 75 della Costituzione consente ai cittadini di esprimersi su leggi tributarie e di bilancio, eppure questa maggioranza, preda di un impazzimento istituzionale inarrestabile, ha offerto simili leggi al vaglio di donne e di uomini privi di ogni relativo riconoscimento giuridico e statuale.

In questa totale anarchia, nell’immediato, a tutti livelli istituzionali, come ha ordinato Veltroni, dovranno formarsi i gruppi del PD; quindi nei Comuni, Province, Regioni, Camera e Senato dovranno scomparire i simboli che erano in esposizione alle pareti dei seggi, sulle liste elettorali per l’Unione nell’aprile 2006 per fare posto a un nuovo simbolo prodotto di una paradossale fiction.

Sarà di certo rassicurante per gli elettori del centrodestra sapere che nella Cdl il numero dei cambiacasacca è decisamente irrisorio (checché se ne dica lo spirito di coalizione regge).

E allora, cari “amici e compagni” traditi che votaste per Prodi, vi chiediamo: a che vi serve andare a votare? In quelle solenni domeniche primaverili, fate di meglio: andatevene al mare!

 

  • Aggiornamento:
  • Barbara Spinelli e le farneticazioni passionali di una donna antropologicamente superiore

Tags: Leggi elettorali, Democrazia rappresentativa, Centrosinistra

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29 ottobre 2007

Berlusconi in: "La stanza del vescovo"

Senza le grancasse che un tempo accompagnavano gli accusatori, senza i clamori degli avvisi di garanzia sparati in mondovisione, pochi giorni fa è arrivata l’ennesima definitiva assoluzione dall’ennesima accusa che le procure associate d’Italia avevano lanciato a raffica contro la testa di Silvio Berlusconi, dal momento in cui il ricchissimo imprenditore si era calato nelle vesti di candidato premier per il 1994.

Da quando cioè partì deciso a battere l’invincibile sinistra, beneficiata da “mani pulite” che aveva appena decimato e ammanettato il resto dell’arco costituzionale.

La storia che seguì a quell’anno è stranota a tutti, in Italia e nel resto del mondo. E’ una storia intrisa di odio fomentato e diffuso, ad arte e con arte, da veri professionisti dotati di un network politico-mediatico che ha permesso loro di divulgare ovunque, oltre i più lontani e impensabili confini, l’immagine di un Paese in mano a un dittatore nero, un mafioso, un trafficante di denaro e di droga, un corruttore senza scrupoli di giudici e di anime.

Tutto questo è, a imperitura e straripante memoria, riportato in milioni e milioni di pagine internet, in tutte le lingue del mondo.

Ma perché tanto livore e tanto viscerale disprezzo si sono abbattuti sulla persona di Silvio Berlusconi?

Mai prima il seme dell’odio nazional-popolare aveva attecchito tanto profondamente nelle coscienze della gente, germogliando e intossicando ogni strato sociale.

A furor di popolo (è il caso di dirlo) Berlusconi è diventato in pochissimi mesi il peggior nemico di classe che l’immaginario collettivo, alimentato dalla cultura dominante, inculcata attraverso la letteratura, l’arte e la potenza mediatica di sinistra, avrebbe potuto vedere materializzarsi.

Quel cavaliere del lavoro era quanto di più perfetto si poteva offrire all’opinione pubblica come bersaglio della latente invidia sociale, inconsciamente stratificatasi negli anni.

D’altronde il termine ricco nella cultura italiana è sempre stato sinonimo di sfruttatore, bandito e corrotto, tanto che i costituenti (Togliatti in testa) non avevano neppure legiferato in previsione che un cittadino facoltoso e potente potesse mai candidarsi a governare il Paese.

Sembra incredibile ma, per colmare questa lacuna, ancora oggi, dopo l’entrata in politica di Berlusconi, i legislatori si scontrano ferocemente alla ricerca di una regolamentazione del “conflitto di interesse”, senza venirne a capo.

Molti credono che il miliardario di Arcore sia divenuto familiare ai più solo dal 1993, quando decise di fondare Forza Italia, ma si sbagliano! Con mille altri nomi e mille altri volti da oltre un decennio lo vedevamo rappresentato al cinema, nelle commedie all’italiana, nella satira radiotv; di lui leggevamo sui libri, ritratto in tanti romanzi nei quali ricchi capitalisti affamavano gli operai inermi, candidati al paradiso.

Addirittura nel 1976 venne pubblicato un libro intitolato “La stanza del vescovo” nel quale Piero Chiara, il celeberrimo scrittore antifascista diede alla famiglia protagonista del romanzo il nome Berlusconi.

Chiara era lombardo e conosceva ciò che già si favoleggiava in quegli anni intorno a quell’imprenditore edile che stava edificando “Milano 2” e che, molto italianamente, era inviso a molti per i suoi successi nel settore immobiliare.

L’anno dopo la pubblicazione del libro uscì il film omonimo (prodotto con la Francia) e i ripugnanti Berlusconi del film entrarono nella fantasia di milioni di italo-francesi, quasi in modo subliminale, pronti a trasferire loro mortifero bagaglio in un Berlusconi vero e reale.

Per anni ci è stata imposta a dosi massicce la maschera dell’industriale brianzolo, cinico e senza scrupoli, a volte rappresentato con la erre moscia di certi personaggi della Wertmuller o con la voce arrochita dalla nebbiosa umidità milanese dell’incolto bauscia pieno di soldi e di fabbrichètte, creato dalla fervida fantasia di una folta schiera di autori.

Quando, infine, giunse alla ribalta della politica nazionale quell’italiano troppo ricco (che chissà come aveva fatto i soldi?), in lui si incarnarono tutti gli odiati capitalisti “immaginari” apparsi sugli schermi innumerevoli volte. Il Berlusca divenne facile bersaglio dello scherno e della più bassa denigrazione per milioni di cittadini spesso orchestrati, infastiditi dai suoi successi.

E noi, noi antropologicamente inferiori che su Silvio Berlusconi avevamo invece puntato le nostre scelte di liberali? Beh, forse non abbiamo più l’entusiasmo del ’94 ma, dopo anni di commiserazioni e delegittimazioni, speriamo almeno di venire riabilitati da quest’ulteriore sentenza della Corte che ha assolto l’instancabile Silvio.

Tags: Silvio Berlusconi, Giustizia italiana, Immaginario collettivo

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26 ottobre 2007

La fiducia fa paura

Romano Prodi non vuole morire.

Lui sa che l’esito negativo del voto di fiducia, che si può dire scontato sotto questi chiari di luna, sarebbe la sua condanna a morte.

Andare in minoranza per ben sette volte, secondo logica, gli avrebbe dovuto far trarre le conclusioni politiche che un vero leader, dotato di un minimo di dignità, avrebbe tratto. Ma le bocciature “ordinarie” al Senato si possono giustificare, basta un po’ di funambolismo dialettico ed ecco che la crisi finisce nascosta sotto il tappeto.

Di fronte però all’inequivocabile bocciatura del governo, proveniente da un voto di fiducia contrario, non potrebbe più nascondere la testa sotto la sabbia!

Prodi e i suoi disperati alleati lo sanno; sanno che la sfiducia sulla finanziaria aprirebbe loro solo una strada, quella delle dimissioni nelle mani di Napolitano.

Meglio non rischiare, quindi, meglio continuare a galleggiare come sempre, anche se, conoscendo la pasta di cui sono fatti gli attuali uomini delle istituzioni, il presidente della repubblica non mancherebbe di lanciare a questa stravagante maggioranza il salvagente delle riforme istituzionali da attuare prima del voto.

E l‘agonia continua...

Tags: Romano Prodi, Voto di fiducia

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24 ottobre 2007

Nessuno in piazza

Eppure ieri a Roma sono arrivati due pasdaran della corte dello stragista Ahmadinejad, presidente dell’Iran, noto a tutti per essere il peggior carnefice del suo stesso popolo, fomentatore e armatore del terrorismo internazionale, causa del quotidiano spargimento di sangue in Iraq nonché concreta minaccia alla vita di Israele e di parte dell’Europa.

Non c’era nessuno a manifestare contro Jalili e Larinejani; nessuno dei duri e puri della pace senza se e senza ma, abituali frequentatori e devastatori delle piazze, nel nome della nonviolenza socialforumista, noglobalista e di sinistra.

Non c’erano le femministe a gridare contro le impiccagioni e le lapidazioni che, in numero sempre più crescente, uccidono donne spesso appena poco più che bambine.

Non c’erano gli studenti dei movimenti democratici per una scuola democratica, che solitamente e democraticamente sprangano chiunque si presenti in un’aula di ateneo a difendere le ragioni di Israele, pronti a gridare  solidarietà ai compagni delle università di Teheran, imprigionati e torturati nelle carceri degli Ajatollah.

Non c’erano quelli della moratoria contro la pena di morte; avranno pensato che fosse meglio starsene tranquilli al calduccio dei saloni di Montecitorio o del Palazzo di Vetro.

La Roma festaiola di Veltroni proiettava i suoi film de sinistra e, pertanto, doverosamente, una parte dei rivoluzionari sopra descritti era al cinema mentre un’altra parte era nel consiglio dei ministri che, chiuso in conclave, litigava, senza costrutto, nel totale disordine dell’esecutivo, su come reprimere il disordine pubblico esplosivo.

Ma gli italiani possono andare orgogliosi di questa diplomazia dalemian-prodiana perché, anche grazie ad essa, ieri l’UE ha ancora trattato con Ahmadinejad, ottenendo moltissimo (?!?!), cioè un altro appuntamento tra Solana e Jalili presso un’altra bella città europea, mentre in Iran si continua a fabbricare l’atomica.

Ma solo Roma poteva offrire una cornice tanto dorata, con la meravigliosa Villa Panfili aperta e apparecchiata per l’occasione; gli ospiti del governo rivoluzionario e terrorista iraniano non hanno affatto subìto lo stesso sgarbo istituzionale che Fausto Bertinotti, il compagno presidente della Camera, aveva invece riservato ai presidenti dei parlamenti kurdo e iracheno, quando li aveva liquidati di fretta dopo averli lasciati, senza tante cerimonie, fuori dalla sua porta.

Tags: Pacifismi, Diplomazia italiana, Iran, Atomica

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22 ottobre 2007

Diliberto è scemo?

No, è solo comunista! “Sono comunista, ma non sono scemo...”; con queste parole Oliviero Diliberto ha tentato di fugare ogni sospetto caduto sulle motivazioni che lo hanno condotto in piazza, sabato scorso. Quella è stata una manifestazione riuscitissima, con partecipazione a sei zeri (le malelingue dicono di meno, ma gli organizzatori avevano i comunicati pronti da giorni con quelle cifre e quegli entusiastici commenti) . Una manifestazione contro? Una manifestazione a favore? Una manifestazione né contro né a favore? Tutte e due le cose, contro Prodi, ma non contro tutto il governo Prodi, contro il sindacato, ma non tutto il sindacato, contro il PD, ma non tutto il PD, contro il protocollo ma non tutto il protocollo, contro i moderati ma non tutti i moderati. E allora? Contro cosa? No, non contro cosa ma a favore di una “cosa”, cioè la “Cosa Rossa”. Ecco, era stata pensata per lanciare in grande stile la nascente “Cosa Rossa”. E cosa sarebbe? Ah, saperlo... Per ora ha un nome o meglio un colore, per il resto non ha un programma, non ha un leader, una location, né ideologica né di schieramento parlamentare. Intanto, non sapendo i suoi promotori dove sedersi (sia a Roma che a Strasburgo), non rimaneva che darsi appuntamento in piazza. Tutti liberi di sfogarsi, cantando e gridando slogan che salivano al cielo in una confusione senza precedenti. Rabbia, risate, manifesti e striscioni tanto contraddittori tra loro che, se costretti nel chiuso di un congresso, avrebbero causato l’esplodere di risse furibonde tra i delegati. Ma la piazza è il luogo deputato allo sfogatoio delle frustrazioni represse e, marciando e ballando, che male ti fò? In tutto questo delirio è intervenuta però finalmente una novità chiara e rassicurante: il coming out di Diliberto! Che lo si definisca lapsus freudiano o lo si attribuisca all’inquietudine che provocano sempre quei pugni chiusi sollevati, quelle logore belleciao, quelle bandiere rosse con falci e martelli, quegli abbracci e baci umidicci di saliva e di sudore dei compagni sconosciuti o che lo si imputi a chissà quale travaglio psicologico inconscio emerso in superficie dopo mesi di sdoppiamenti della personalità, il risultato è una bella confessione in stile “Palombella rossa” di morettiana memoria. “Sono comunista ma non sono scemo” semanticamente si traduce in: essere comunista è da scemi ma io non sono scemo. Questo ha voluto dire il vero Oliviero Diliberto, l’aristocratico professore, esperto d’arte e di vini pregiati, ricco e potente in conflitto con l’ingombrante alter ego comunista, pezzente e pure scemo, col quale finalmente ha saldato i conti. Essere uomini di lotta e di governo alla lunga stanca e, per non esaurirsi senza rimedio, si sente la voglia di accomodarsi in modo definitivo su una bella poltrona... ministeriale. “Sono comunista e pertanto non sono scemo!” questo ci si sarebbe aspettati di sentire dal capo degli antropologicamente superiori, ma, visto che neppure costoro si sono accorti di nulla, l’on. Diliberto avrà tutto il tempo di ricomporsi e ritornare a fare lo scemo, cioè il comunista!

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19 ottobre 2007

Ma che c'entra Storace?

In questi giorni si è parlato molto dello scontro tra Napolitano e Storace; sappiamo che il senatore fuoriuscito di AN ha riferito del sostegno ricevuto dal presidente Cossiga: “...dopo l’atto della procura di Roma, mai compiuto prima, neppure quando io da presidente della Repubblica sono stato coperto di insulti e contumelie. Ma si comprende io non ero né comunista né ex comunista e neanche veltroniano!”

Che in passato nessuna procura si sia mai mossa impugnando il reato di opinione a tutela degli inquilini del Colle non può che rallegrare noi che oggi, invece, ci indignamo per l’atto che la giustizia e il ministro che ne è a capo hanno compiuto contro il senatore in oggetto.

Ma, ci pare, nessuno tra i politici e i commentatori entrati in questa vicenda ha “potuto” affermare che il vero, unico colpevole di quanto è accaduto si chiama Giorgio Napolitano.

Inoltre, crediamo, in riferimento al senatore, non sia stato strettamente focalizzato quanto rientra nel pieno diritto di un eletto del popolo, cioè agire, secondo le sue scelte, contro un proprio avversario politico (come d’altronde si presta ad essere definita Levi Montalcini) e, se i mezzi usati fossero censurabili, ne risponde alla legge (sotto la tutela dell’art.68) e, in primo luogo, al suo elettorato.

A nessun Presidente della Repubblica è permesso entrare nelle diatribe tra parlamentari o giudicare un’istituzione o l’altra.

Per la legge il Presidente è equidistante, super partes e non si rivolge mai direttamente ai singoli, se non per lodarli nelle onorificenze di cui il Quirinale è generosissimo.

La Costituzione dice che egli può rivolgersi per iscritto alle Camere e non gli conferisce nessun potere di espressione, se non di quello di Capo delle Forze Armate e presidente del CSM.

Persino la legittimità di esternazioni di alto valore politico è stata, in passato, al vaglio di molti costituzionalisti.

Napolitano ha oltrepassato largamente e pesantemente le prerogative sue proprie, precisate nel Titolo II e non solo non si è limitato ad esprimersi unicamente per iscritto, ma ha decisamente svaccato (tra gli applausi generali) rivolgendosi non al presidente del Senato ma a dei ragazzini presenti ad una manifestazione!

Quanto è successo è grave, ma di certo lo è ancora di più il silenzio dei costituzionalisti e le iniziative della procura e di Mastella contro chi, degnamente o indegnamente non conta, siede nell’istituzione più alta della nazione, il parlamento.

Anche questa incresciosa vicenda creerà un pericoloso precedente perché, da questo momento, il presidente di tutti gli italiani...comunisti, Giorgio Napolitano, si sentirà in diritto di parlare e sparlare di tutto e di tutti, incurante dei limiti previsti dal suo ruolo, libero di turbare anche il regolare andamento di una campagna elettorale.

Un tempo i Capi di Stato si limitavano a pronunciare poche parole di circostanza al taglio di qualche nastro, in qualche inaugurazione di opere pubbliche, ma purtroppo poi venne Pertini e da quel momento il Quirinale si è dimenticato dell’art. 87 della Carta, trasformandosi in un esternazionificio.

Tags: Costituzione, Napolitano, Storace, Cossiga

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17 ottobre 2007

Vendesi auto usata, rivogersi al Fremskrittspartiet

Questa Mercedes usata è di proprietà del secondo partito norvegese, il partito liberale FRP, ed è stata messa in vendita tra gli iscritti all‘organizzazione .

Ciascuno di noi ha ricevuto una mail con la descrizione e il prezzo di partenza dell’auto e, acquistandola, sosterrà le spese che il tesoriere dovrà affrontare per l’acquisto di una macchina nuova per il partito.

Come in questa altra occasione il pensiero è andato al mondo politico italiano, alle auto più o meno blu, con autista e carrozzeria blindata che a centinaia di migliaia circolano in Italia, anche per scarrozzare dirigenti di partito o del sindacato, pagate e mantenute a spese del contribuente, senza che nessuno ne abbia neppure la minima contezza.

Tags: Norvegia, Italia

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Nasce il Partito Democratico, muore un po' la Costituzione

L’art. 49 della Costituzione italiana è forse l’unico autenticamente liberale, fra tutti quelli pensati e scritti dai costituenti.

In un libro folto di norme che regolamentano tutti gli aspetti del vivere civile, fortemente statocentriche, ecco cosa si legge in riferimento ai partiti politici: “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, punto.

Questo è tutto!

Null’altro è sopraggiunto nel tempo (nonostante molte insidiose proposte di riforma) a modificare e snaturare il dispositivo vigente.

Neppure Marco Pannella e la RNP sono riusciti a trascinare la Corte Costituzionale verso una sentenza che attribuisse ai partiti un potere non previsto dallo statuto repubblicano.

In verità lo sconclusionato Pannella, proprio ultimamente, ha fatto anche di peggio, ricorrendo in giudizio dopo aver subìto un’arbitraria ma legittima esclusione dalle “primarie ” del PD, appellandosi, addirittura, alla giurisprudenza sui bandi di concorso emessi dalle aziende per l’assunzione di manodopera!!!

I tribunali chiamati ad esprimersi hanno, fortunatamente, respinto i ricorsi, in osservanza dell’art. 49, rimasto, ancora una volta, formalmente intatto.

Ma, se è vero che la moneta cattiva scaccia la moneta buona, negli ultimi decenni la prevalente moneta social-statalista della Costituzione italiana ha dato vita a un regime partitocratico potentissimo, unico nell’Europa occidentale, che ha avvelenato ogni settore della vita istituzionale, politica e sociale del paese, annullando la delicata moneta liberale dell’art. 49.

Fino a pochi mesi fa, credevamo che il sistema avesse raggiunto il fondo della sua spregiudicatezza e che fosse arrivato il tempo della riscossa del cittadino contro lo straripamento dei partiti e del loro essersi fatti casta, cultura egemone, stato e parastato, ma sbagliavamo!

Dopo che per quasi cinquant’anni i partiti uniti nell’attuale governo si sono infiltrati ovunque, formando le coscienze di intere classi di intellettuali, imprenditori, sindacalisti, operatori della cultura e dell’informazione. Oggi questi stessi partiti non fanno che raccogliere i frutti di tanto lavoro.

Eccoci quindi giunti al PD e alla morte definitiva del dettato costituzionale!

Sorge il sol dell’avvenire Del Partito democratico imposto, a ogni ora del giorno e della notte, all’attenzione recalcitrante della gente.

Il partito, creatura dei comunisti Michele Salvati, Walter Veltroni (quelli che “mai stati comunisti” benché dirigenti e intellettuali organici al Partito Comunista) e di Paolo Mieli (ex di Lotta Continua), ci viene instillato nel cervello, a mò di goccia cinese, tra squilli di tromba che annunciano l’avvento dell’unico vero liberalismo al mondo, quello di sinistra!

Peccato che in tutta questa operazione politico-mediatica non ci sia neppure una traccia di cultura liberale; primo, perché è illiberale turlupinare la buona fede dei militanti o simpatizzanti, fingendo di chiamarli alla creazione di un partito già deciso e lottizzato, secondo le migliori tradizioni spartitorie del centrosinistra.

Secondo, perché non c’è nulla di liberale nel programma del suo leader dialogante con tutti, democristiani e comunisti, concertazionista, finto liberista e sterile demagogo.

Terzo, perché è illiberale l’occupazione smodata di ogni spazio massmediatico, attuata in barba al buonsenso, al rispetto delle persone, alla pluralità dell’informazione, ma soprattutto scavalcando la quarantanovesima norma della Costituzione.

Con la complicità di un falso garante, un non ancora esistente soggetto politico privato ha preteso e ottenuto il dispiegamento di tutte le forze a disposizione della tv pubblica, impegnandole, fino a notte fonda, a trasmettere il miracolo della natività di qualcosa che rimane una libera associazione di cittadini, cioè un soggetto non riconosciuto se non dai suoi iscritti, dai suoi elettori e simpatizzanti.

Insomma, col sinistramente liberale PD abbiamo assistito increduli allo spettacolo triste della fantapolitica che supera la politica; un partito che non c’è ha battuto in arroganza la già arrogantissima partitocrazia e, concreto e palpabile come l’aria fritta, ha cominciato a governare, senza mandato, sopra le teste dei governanti con poco mandato.

Tags: Partitocrazia, Costituzione, PD

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12 ottobre 2007

Sardo-siculo-pakistano

La sentenza del giudice di Hannover che ha ridotto la pena inflitta al sadico torturatore di una ragazza (due volte vittima, sia del criminale che del giudice), in quanto gli ha riconosciuto l’attenuante dovuta all’impronta culturale ed etnica impressagli dalla sua origine sarda, lascia davvero senza fiato e sollecita una serie infinita di riflessioni; alcune ci vengono qui di getto, in modo confuso e disordinato, ma la notizia è di quelle che spiazzano.

A tutta prima abbiamo pensato che il giudice tedesco sia inconfutabilmente un cretino! Oppure un razzista che si nasconde dietro un politically correct portato alle estreme conseguenze. Forse è affetto da un’ignoranza e da una grettezza tanto profonde quanto insondabili.

Di certo egli non sa che la donna sarda proviene da secoli di matriarcato e, senza aver bisogno di piazzate femministe, ha, con grande dignità, sempre occupato un ruolo di parità, quando non addirittura di superiorità sull’uomo, nella famiglia e nella società sarde. Neppure il maschio che viva nel più isolato sito tra le montagne della Sardegna è pervaso da qualunque cultura segregazionista contro la donna. Se episodi di sopraffazione contro di esse si verificano, questi appartengono alla follia criminale del singolo e vengono unanimemente respinti e condannati dalla comunità intera.

Quel giudice tedesco probabilmente ignora la posizione geografica della Sardegna e la crede incuneata tra l’Iran e l’Afghanistan oppure sa che si tratta di un’isola italiana solo perché l’ha letto sui francobolli dietro le cartoline di sughero raffiguranti donne in costume nero, evidentemente scambiato per burqa.

Scherzi a parte quel giudice è sicuramente un magistrato assai pericoloso se è convinto che meriti clemenza la violenza sulle donne quando derivante da una diversa cultura o etnia.

Se altri uomini di legge interpretassero il codice come ha fatto costui nella loro giurisdizione spianerebbero la strada ai fautori della sharìa che, da tempo, chiedono il diritto di infliggere liberamente pene corporali alle donne, secondo le spaventose tradizioni islamiche.

E, infine, l’ultima riflessione, la più amara, ci viene immaginando che presso le corti di giustizia europee giungano le dichiarazioni di un importantissimo ministro degli interni italiano di nome Giuliano Amato, dalle quali potranno ricevere la precisa raffigurazione della sottomissione all’uomo della donna italiana.

Dunque, come possiamo prendercela con un cittadino tedesco quando abbiamo giustificato (alcuni addirittura applaudito) un uomo con quelle responsabilità di potere, il quale ha, urbi et orbi, ineffabilmente e con ammirevole flemma parlato di tradizione siculo-pakistana?

Se questi strapotenti e strafottenti continueranno impuniti la loro opera di denigrazione del cittadino, allora non resta che pronunciare quel tristissimo detto: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso!”

Sarebbe meglio difenderci in casa nostra per non vederci costretti a scagliarci contro gli stranieri, rei solamente di aver seguito la linea relativista e lesiva dell’immagine degli italiani, esportata da questo governo.

Tags: Giuliano Amato, Giustizia, Relativismi, Matriarcato sardo

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8 ottobre 2007

Sussulto liberale

Insultare gli Italiani, quelli senza potere, sembra ormai un’attività che non solo non penalizza i governanti che se ne dilettano ma che addirittura si trasforma in occasione di riflessione autocritica tra gli opinionisti e, parrebbe, persino tra gli stessi cittadini, bersaglio delle offese.

Ne consegue che l’attuale capo del governo si potrà quindi permettere, ogni volta che vorrà, di definire i suoi amministrati soggetti tendenzialmente portati a delinquere o a sfruttare ogni sorta di privilegio, proprio come lui, che da quarant’anni è al centro di ogni malaffare pubblico, autentico campione della famigerata ed inarrestabile casta.

Ma il fatto che nei giorni scorsi nessuna notizia di querela per diffamazione contro Romano Prodi sia apparsa sui media è forse dovuto solo allo scarso senso di autostima e dignità che gli italiani provano per se stessi?

E se, dopo Prodi, anche un altro grosso esponente di questo governo si è lasciato andare, incurante di premere sui freni inibitori che la sua carica istituzionale gli dovrebbe consigliare, lo si deve alla reale esistenza di una società di mendicanti (vista l’umiliante elemosina che riceveranno) definibili anche come emeriti “bamboccioni”?

Gran parte del dibattito seguito alle sprezzanti parole di Padoa Schioppa sembra incentrato più sull’aspetto sociologico, sul problema dei “giovani” che non riescono a rendersi indipendenti intorno ai vent’anni e ai motivi che sono dietro questo fenomeno tipicamente italiano, piuttosto che sulla censura dura e senza appello del comportamento del ministro del tesoro.

Qui non si tratta di fare della sociologia (ciascuno ha le proprie opinioni) ma di sfogliare il codice penale e verificare se, oltre ai reati di offesa e vilipendio della nazione, della repubblica, del capo di stato, del governo, del parlamento, delle forze armate, della liberazione, della bandiera ecc. attribuibili al cittadino, sia stata prevista una pena per il reato di offesa all’immagine del cittadino stesso, a carico di chi è stato eletto o che rappresenta comunque la nazione.

Nulla, purtroppo nulla di nulla hanno previsto i legislatori a tutela della dignità o a riconoscimento giuridico della sovranità dell’individuo, il quale si trova così a subire ogni tipo di oltraggio da qualunque potente di turno.

Gli storici seri, che non indulgono nell’aneddotica, hanno da tempo escluso che la regina Maria Antonietta avesse mai pronunciato la famosa frase: “Se il popolo non ha pane che mangi le brioches”, una frase talmente umiliante rivolta ai suoi sudditi affamati che le è costata l’imperitura e universale condanna morale, molto peggiore di quella che la portò tragicamente alla morte fisica.

Ma le parole di TPS, riferite ai ragazzi non più tali che soffrono profondamente per la loro condizione civile, rievocano quella leggenda dove si narra di una regina che oltraggiava i poveri sudditi affamati, con battute infelici e fuori luogo; evocazione ancora più adattabile alla vicenda in questione se pensiamo alle responsabilità gravi dei fautori di quella cultura dominante di sinistra castrante e deresponsabilizzante, i quali sono oggi gli alleati di governo di questo ministro non perseguibile penalmente.

Ma sì, qualcuno dirà, con ragione, che questi son concetti troppo liberali in un paese statalista dove i diritti del singolo sono sempre subordinati a quelli dello stato e di coloro che ne gestiscono gli affari, per cui non varrebbe proprio la pena parlarne.

E se poi il potente di turno si chiama Tommaso Padoa Schioppa, autore di questa dissennata dichiarazione: “...le tasse sono una cosa bellissima!”, allora sarebbe inutile sporre denuncia, l’uomo potrebbe godere dell’infermità mentale.

Tags: Liberali, Reati d'opinione, Padoa Schioppa, Romano Prodi

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4 ottobre 2007

Senatori in rialzo

Quanti saranno stati gli over quaranta, eletti a Montecitorio col centrosinistra, sorpresi a mordersi le mani per non aver avuto in sorte un posto da senatore in questa “fortunata” legislatura che sorride soltanto agli eletti nell’altro ramo del Parlamento?

Tanti, crediamo, perché, se già fin dagli inizi del governo Prodi

c’era una forte domanda di senatori a fronte della nota scarsità d’offerta, è evidente che la inevitabile disintegrazione della “maggioranza” ha fatto crescere a dismisura il bisogno di voti al Senato, i soli in grado di puntellare la traballante poltrona di Palazzo Chigi.

Di tutto questo ciascun senatore è consapevole.

Egli sa di valere tanto oro quanto pesa, come pure sa che il prezzo di quell’oro varia in base al doloroso andamento politico che la coalizione, di volta in volta, attraversa.

L’imminente finanziaria è, senza dubbio, la scadenza dal percorso legislativo più drammatico, che puntualmente porta al rialzo le azioni dei senatori singoli o in gruppo, purché dotati di buona salute e forte resistenza nelle lunghe sedute diuturne, talvolta inevitabili, tra un voto di fiducia e l’altro.

Ed ecco quindi gli “anziani saggi” fare il grande salto di qualità, oltrepassando la contrattazione che fino a ieri veniva condotta a tu per tu con Romano Prodi, per lanciarsi in grande stile nel borsino delle trattative, costituendo, senza scrupoli e senza pietà per gli elettori, nuovi partiti, nuovi gruppi e nuovi movimenti tanto minuscoli quanto potenti.

Assistiamo così, sgomenti e rassegnati, alla nascita fulminea e minacciosa di “Unione Democratica”, di “Liberal-democratici” o di costituenti socialiste, che finiscono col frantumare, polverizzare,complicare e alimentare la già costosa e indistricabile formazione dei partiti del centrosinistra.

Che si tratti di regolamento di conti all’interno dell’Unione o piuttosto di grandi manovre di approdo al centrodestra (come, poco politichesemente, fa intendere Silvio Berlusconi) non ci è ancora dato sapere, ma ciò che balza agli occhi è la pretestuosità delle prese di posizione dei ribelli.

Infatti così Dini come Bordon & co. non possono darci a bere di essersi svegliati di soprassalto giusto ieri ed essersi accorti, d’un tratto e con orrore, che i loro alleati, coi quali per mesi si erano incontrati, scontrati e accordati sul programma per Prodi, non erano, guarda un po’, allievi di Milton Friedman ma dei volgari, retrivi comunisti.

In chiusura, parlando di fuoriusciti, inviamo un pensiero solidale all’infaticabile Daniele Capezzone, al quale maggiori fortune politiche non sarebbero mancate di certo se avesse potuto barattare la sua poltrona di presidente di una commissione (per quanto prestigiosa) con quella di un senatore della repubblica. L’età però non glielo avrebbe permesso e, gli sia di consolazione, in fondo la giovinezza vale più della carriera politica.

Tags: Senatori Unione, Voti di scambio, Finanziaria

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3 ottobre 2007

Standing ovation per la finanziaria dei miracoli

Questa mattina nell’aula del Senato si è scatenato il delirio!

Non sapremmo dire se ce n’è stato di più nell’esposizione della legge finanziaria fatta dal ministro Padoa Schioppa o nell’interminabile, entusiastico e frenetico applauso che i senatori di maggioranza le hanno riservato.

Forse c’è più delirio nelle parole del ministro del tesoro ( che da tempo ha dismesso le vesti dell’economista per indossare quelle del più accanito pasdaran governativo), per quante volgari menzogne ha voluto premettere nel suo intervento e per quante altre ancora ha continuato a ripeterne, fino all’epilogo della relazione.

TPS non ha risparmiato accuse di ogni genere alla precedente legislatura, compresa quella di aver maggiormente ampliato la voragine dell’evasione fiscale. E pensare che le maggiori entrate del Tesoro erano arrivate, proprio appena egli e i suoi accoliti si insediarono al governo, grazie al lavoro del suo predecessore Giulio Tremonti. Questo è sempre stato agli atti, anche a quelli stenografici.

L’esposizione di oggi è costellata di frasi iperboliche, studiate per trasmettere ai mugugnanti senatori entusiasmo, al fine di garantirsi un voto fino ad ora molto incerto.

Tutto il discorso del ministro è riascoltabile qui.

 

Anche Taglio Basso ha ascoltato TPS 

 

Tags: Finanziaria 2008, Senato, Padoa Schioppa

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