30 novembre 2007

Consigli urgenti per gli esegeti di Berlusconi

Vista e considerata la confusione che regna sui media, scritti e parlati, quando si riportano le dichiarazioni e le iniziative di Silvio Berlusconi, vista la ridda di equivoci che gli operatori dell’informazione tendono a ingenerare, per calcolo o per superficialità, crediamo utile consigliare a tutti coloro i quali, come noi, non lavorano nelle redazioni dei giornali di attendere di ascoltare dalla viva voce dell’interessato ciò che ha da dire sui suoi programmi e sui passi che sta compiendo in questi giorni piuttosto burrascosi.

Da tempo noi ci regoliamo in questo senso, diffidando persino delle uscite, spesso contraddittorie, dei politici di ogni parte, alleati o ex alleati di Silvio Berlusconi.

Tra inviati, opinionisti, retroscenisti (e i loro committenti politici), quando l’oggetto degli argomenti del giorno è il Presidente del futuro Pdl, si scatena una sorta di gara a chi la sappia sparare più grossa, con l’intento di confondere l’opinione pubblica. Anche quella parte più avveduta e dotata di spirito critico finisce nel cadere nel tritacarne mediatico di quella che lo stesso Berlusconi definisce qui con estrema moderazione: “...interessata disinformazione”.

Pertanto consigliamo ai nostri lettori di attendere la conferenza stampa o qualunque altra apparizione in voce del Cavaliere, prima di gettarsi a capofitto sui commenti del dopo incontro che avrà con Walter Veltroni oggi alle 16.

Naturalmente questo vale sia per i sostenitori che per i denigratori del leader di FI; lodarlo o insultarlo per ciò che non ha detto è assolutamente illiberale, o no?

 

  • Aggiornamento:
  • Qui la conf. stampa di Silvio Berlusconi all'uscita dall'incontro con Veltroni.  

Tags: Silvio Berlusconi, Informazione, Disinformazione

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29 novembre 2007

Una bambina contro Stalin (II parte)

Nella prima parte di questo modesto contributo alla memoria, per non dimenticare i crimini e i criminali comunisti italo-russi, abbiamo parlato di cittadini italiani che consegnarono ai boia sovietici i propri compagni di partito, non di rado propri amici o familiari.

Autentiche tragedie circondate da “cortine di ferro” erette e sorrette da fanatismo ideologico, terrore e rigida omertà.

Abbiamo scritto di come le fortune del Pci e dei suoi attuali “discendenti” si fondino su quella stessa omertà che, è incredibile persino a dirsi, perdura ancora e nasconde fatti e personaggi che vengono tenuti sepolti a protezione dell’immagine sacralizzata di Palmiro Togliatti. Fra tante circostanze scomode alla mistica della causa comunista una ci ha colpiti più di altre, perché è l’esempio di come il metodo sovietico sia adottato in certe particolari zone italiane; ci riferiamo all’esistenza (da fantasma) di Aldo Togliatti, il figlio reietto del Migliore (dei peggiori). L’uomo vive in una casa di cura nella Stalingrado italiana che è la rossissima Modena e, salvo rare eccezioni subito tacitate, è sempre stato sottratto, grazie ai suoi guardiani, all’interesse del pubblico.

Ma in questa seconda e ultima pagina vogliamo parlare di chi, con coraggio e molta forza d’animo, ha consumato la propria intera esistenza, violata fin dall’infanzia, lottando contro un invincibile muro fatto di menzogne e di silenzi, pur di ottenere se non la restituzione della vita almeno la memoria riabilitata di suo padre, giustiziato, come altre migliaia di Italiani, con l’accusa di essere traditore, nemico del popolo e del socialismo.

Nessun rotocalco televisivo gli offrirà la prima serata né intere repliche di “La storia siamo noi” o amenità del genere, perché lui si chiama Gabriele Nissim ed è l’autore di “Una bambina contro Stalin”, un libro uscito per la Mondadori nel giugno scorso.

Un libro che imbarazza, di un imbarazzo che il comunista Piero Fassino (impegnato in un’improbabile decomunistizzazione dei DS in vista del PD) non riesce a nascondere durante la conferenza stampa (semi carbonara, riascoltabile soltanto qui) di presentazione dell’opera, dove si è trovato faccia a faccia con quella bambina (oggi una vivace signora in età) resa orfana dalla ragion di partito cinicamente seguita da Togliatti, in nome e per conto del grande alleato Stalin.

La bambina di cui si parla è Luciana De Marchi, protagonista di una storia venuta a galla grazie alla sua caparbietà e al talento di Nissim, che ha provveduto alla stesura del racconto da lei offerto e fittamente documentato.

Ci hanno inculcato l’atroce pregiudizio secondo il quale torturare e uccidere in nome del marxismo sia inevitabile e giustificato, quando si mettano anche solo in dubbio i meriti della grande rivoluzione portatrice di libertà, fraternità ed uguaglianza tra gli uomini.

Efferati e ingiustificabili sono soltanto i crimini nazisti che, “per non dimenticare”, ci vengono ricordati da Giovanni Minoli (sempre lui) e da altri numerosi autori quasi quotidianamente.

In questa prefazione al libro di Marina Argenziano, ancora il nostro Gabriele Nissim ci spiega con chiarezza ed efficacia le ragioni di questa aberrante incoscienza collettiva che ci impedisce di indignarci.

Nessun tribunale per i crimini contro l’umanità dell’Onu chiederà mai giustizia per le vittime delle dittature comuniste, passate e presenti.

Non vedremo affatto apparire sulla scena internazionale un altro Simon Wiesenthal che, instancabile e giusto, si lanci anima e corpo sulle tracce di quegli aguzzini, liberi oggi come allora, quando imprigionavano, torturavano e uccidevano povera gente, dentro e fuori i vasti confini dell’URSS.

Giorgio Napolitano ha ricevuto Luciana De Marchi al Quirinale. Forse l’atto più ipocrita compiuto da questo presidente che più di ogni altro conosce, coprendo però col silenzio, le verità dei fatti che condussero alla morte, nell’Unione Sovietica, migliaia di compagni del Pci.

Tags: Comunismo, Vittime italiane, Luciana De Marchi, Aldo Togliatti, Gabriele Nissim

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26 novembre 2007

Il Referendum da abrogare

Si sta facendo un gran discutere intorno al referendum abrogativo di alcuni articoli di legge relativi al sistema elettorale, per il quale un vasto comitato ha già raccolto le firme che stanno per avere il via libera della Cassazione; poi i quesiti passeranno al vaglio della Corte Costituzionale.

Il risultato che si prefiggono i promotori della consultazione popolare in questione lo troviamo assolutamente apprezzabile e condivisibile, considerando che l’ipotetica vittoria dei Sì introdurrebbe lo sbarramento a liste minori, invertendo l’attuale tendenza alla proliferazione dei partitini e assicurerebbe, grazie al premio di maggioranza per la lista vincente, una migliore governabilità.

Questo è ciò che si sa essere nelle intenzioni di Guzzetta e dei co-presentatori dei quesiti referendari, ai quali vorremmo augurare il successo che meritano e che quasi mai, in oltre trent’anni, altri comitati hanno raccolto, se non per un giorno, quello dei risultati vittoriosi, puntualmente ribaltati dopo poco dal Parlamento. Ebbene sì, in Italia i referendum abrogativi valgono quanto quelli propositivi, cioè nulla!

Salvo due o tre eccezioni la loro indizione si è rivelata un’impietosa mancanza di rispetto dell’intelligenza e della volontà popolare.

Con l’art. 75 la Costituzione prevede che, ove almeno cinquecentomila aventi diritto di voto lo decidano, l’intero elettorato può intervenire sulle leggi, annullandole del tutto o in parte attraverso l’abrogazione di interi articoli o commi di norme vigenti. Fin qui tutta la procedura apparirebbe agevole e trasparente ma nella pratica non lo è affatto, date le infinite limitazioni, gli adempimenti burocratici e le imprevedibili possibilità di annullamento dell’esito che inficiano il dettato costituzionale. .

Letta dalla parte degli abrogazionisti ogni chiamata al voto non ha certo prodotto i risultati sperati.

Il primo promotore ad essere sconfitto fu Amintore Fanfani, deciso ad abrogare la neonata legge sul divorzio. Vinsero i No e la legge venne, a maggior suo scorno, ritoccata in senso ancora più liberale. Fu la prima e l’ultima volta che il risultato di un referendum rispettò il voto della maggioranza degli elettori, che grandemente ancora ne beneficiano.

Ma da quel momento in poi tutte le decine e decine di leggi sottoposte al parere popolare causarono uno spreco di denaro pubblico e, circostanza assai più grave, il peggioramento della situazione preesistente al voto.

Lasciando da parte tutti i quesiti falcidiati dal No preventivo della Corte Costituzionale (spesso scandalosamente dalla parte dello status quo), ricordiamo il destino dei più importanti e più dannosi tra loro.

Il finanziamento pubblico ai partiti, quasi irrisorio prima del settantotto, dopo la vittoria dei Sì non solo non venne abolito ma aumentò in modo esponenziale, cambiando soltanto di nome.

Se oggi assistiamo a una proliferazione scandalosa di partiti e partitini lo dobbiamo soprattutto all’enorme disponibilità di denaro di cui essi possono appropriarsi.

L’abolizione del sistema elettorale proporzionale, che avrebbe dovuto introdurre il maggioritario all’americana, produsse una riforma pasticciata e persino antidemocratica, capace solo di potenziare la “spartitocrazia”, lasciando lo stesso tasso di ingovernabilità del precedente proporzionale puro.

Che dire dell’avvilimento che seguì al tripudio di quell’ottanta per cento di Sì che chiedeva di introdurre la responsabilità civile dei magistrati? Basta seguire le cronache giudiziarie per rendersi conto che l’impunità e l’arroganza degli operatori della giustizia di stato sono cresciute in modo spropositato.

E che dire delle trattenute sindacali “obbligatorie”? Ci sono come prima e più di prima. E la vittoria sulla privatizzazione della Rai? Mai neppure presa in considerazione! Qualcuno ricorda i Sì all’abolizione dei ministeri dell’agricoltura e del turismo? Un piccolo giro di valzer con leggero cambio di denominazione e poi tutto come prima!

Ci fermiamo per amore verso i nostri lettori ma molto ci sarebbe ancora da scrivere sull’istituto referendario voluto dai padri costituenti, i quali non furono molto accorti nel formularne il dispositivo, offrendolo ad ogni sorta di interpretazione e manipolazione dei giudici e dei legislatori.

Il cittadino gode, rispetto all’art. 75, di una sovranità del tutto limitata, che viene giustificata con termini quali “vuoto legislativo pericoloso”, che costituzionalisti e parlamentari si palleggiano, prima e dopo la celebrazione del referendum.

Nessuno se la sente di riflettere, col massimo rispetto dovuto, sui motivi dell’assoluta stanchezza e del disinteresse dell’elettore nei confronti di quest’arma democratica che gli si è, quasi sempre, rivoltata contro?

L’Italia non è la Svizzera, dove il cittadino è chiamato a pronunciarsi su argomenti chiari e diretti e dove vige l’osservanza assoluta del suo responso.

Disertando in massa le urne gli Italiani hanno dimostrato di non accettare più di essere chiamati a pronunciarsi su centinaia di quesiti indistricabili, di difficile interpretazione anche per un giurista e di non voler più vedere tradite la loro buona fede e la loro dignità.

Sarebbe troppo chiedere ai politici, prima di procedere con altre campagne perse in partenza, di dedicarsi alla riforma dell’attuale normativa sul referendum?

Tags: Referendum abrogativo, Riforma elettorale, Giovanni Guzzetta

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24 novembre 2007

A che gioco giochiamo?

Perché non facciamo quello che tu eri il ministro e facevi le leggi e lui faceva il...

I bambini si esprimono così, usando sempre l’imperfetto, eppure i loro giochi sono una cosa estremamente seria e perfetta.

Noi adulti, al contrario, ci convinciamo continuamente di essere seri e invece capita che tante volte giochiamo.

Ma questo, in cui mi ha “trascinata” il generoso Ismael, è dichiaratamente un gioco e pertanto può aspirare a diventare una cosa seria!? -)

Allora, facciamo così, che io ero quella che aveva il potere di nominare i ministri e di inventare i ministeri e che mi pensavo questa cosa:

-Formazione del primo governo delegiferante della storia d’Italia.-

Nasce il primo consiglio dei ministri, pronto a giurare sulla propria testa che non varerà alcuna nuova legge ma occuperà l’intera legislatura nel delegiferare, delegificare, sfoltire e cestinare l’ottanta per cento delle leggi vigenti che ammorbano, paralizzano, confondono, sottomettono l’esistenza umana e civile del cittadino.

Dotati esclusivamente di tot metri cubi di gommapane, di tot ettolitri di bianchetto o, preferibilmente su tutto, di computer con tasto delete formato magnum, i ministri nominati si dovranno concentrare sull’abbattimento della jungla normativa, fatta di milioni di articoli confliggenti fra loro, stipati dentro voluminosissimi codici civili, penali, amministrativi, stradali...

Sfoltire, semplificare, desovietizzare secondo un principio di asciugatura normativa; una dieta a scalare fatta con cura e decisione.

I miei ministri dovranno arrivare a un unico risultato: la nascita di uno stato nuovo, leggero e liberale.

I nomi? Mah...

E se chiamassi a raccolta tutti i supereroi dotati di superpoteri buoni (coordinati da Silvio Berlusconi, of course)? ;D

Di meglio non so proporre, sorry.

Estratti a sorte:

John Christian Falkenberg

Stefano Massa

Liberali per Israele

Paolo di Lautreamont

Wind Rose Hotel

Tags: Giochi per adulti

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23 novembre 2007

Una bambina contro Stalin (I)

(Questa è la prima puntata di una storia, anzi di mille storie, da noi scritta e abbandonata nella cartella di Word. La pubblichiamo sollecitati da questo articolo di Fausto Carioti sul compagno Giorgio Napolitano.)

Clementina Perone Parodi (non è la bambina del titolo), quanti sono coloro che hanno già sentito questo nome?

Pochissimi di sicuro; eppure costei fu una comunista di ferro, prigioniera volontaria dentro l’impenetrabile “cortina di ferro” dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nessuno la conosce, perché il Pci seppe crearsi intorno una copia di quella cortina di omertà, persino più impenetrabile e duratura dell’originale, che ha finora nascosto quelle storie tragiche e segrete di migliaia di Italiani uccisi dai sovietici grazie alla complicità e alla delazione di Togliatti e di compagni come Clementina.

Si tratta di un muro invalicabile che continua a proteggere altre storie di sangue, altri misteri sulle ricchezze economico-finanziarie e sui complessi rapporti politico-affaristici che fanno le fortune dei comunisti contemporanei, sedicenti democratici quanto moderni riformatori.

Ma tornando a Clementina Perone Parodi, di lei sappiamo che a volte fu implacabile delatrice dei suoi stessi compagni, altre volte vittima straziata dalle atrocità dei lager sovietici e, tuttavia, fanaticamente e visceralmente accondiscendente a quella folle ideologia, sulla quale non cessò mai di concentrare il suo più cieco amore.

Era Tina, antifascista “riparata” nella sua ideale e idealizzata madre patria di tutte le libertà, l’Unione Sovietica.

Come altre migliaia di donne e uomini italiani fuggì dalla dittatura fascista per approdare nell’Urss, dove arrivò carica di ferree convinzioni e sicure speranze.

Quanti ne denunciò (oppure non ne aiutò) di suoi compagni amici o conoscenti, essi pure sfuggiti, come lei, alla repressione delle camicie nere? Pochi, crediamo, certamente meno di quanti il suo idolo Palmiro Togliatti ne fece internare, torturare e fucilare.

Quel Togliatti che, con lo stesso cinismo, si occupò dei poveri alpini prigionieri di guerra in quella Russia di ghiaccio.

Oggi sappiamo che Togliatti fu un traditore e persecutore dei più deboli. Tanto indifferente alle loro sofferenze quanto orgogliosamente ed eternamente leale verso il partito e verso Stalin.

La storia di Clementina Parodi è, in fondo, una storia a lieto fine, perché si è conclusa in Italia, con la morte avvenuta nel suo letto, circondata dall’affetto della figlia e dei suoi amici.

Ma per altre migliaia di comunisti italiani il destino non fu così “generoso”; trattati come criminali, proprio la loro ideologia li portò a morire nei lager o in qualche sotterraneo della spaventosa polizia politica ancora chiamata NKVD.

Tina Perone tornò, a costo di misteriosi e dolorosi patti, nella sua Italia, come vi tornò Togliatti, come vi tornarono alcune centinaia di vittime o di testimoni di quella repressione sanguinosa, priva di volti e di nomi. Gli archivi moscoviti (da poco aperti e già in parte richiusi) raccontano che subito dopo lo scoppio della rivoluzione bolscevica gli italiani presenti in Russia furono presi di mira e deportati nei primi campi di concentramento leninisti; dal 1919 in poi il regime si inventò ogni bieco pretesto pur di tenerli sotto stretto controllo, onde eliminarli quando ritenuto utile alla causa, costringendo alla delazione i connazionali, i quali si prestavano al compito ubbidendo alla ragion di partito o, preferiremmo credere, all’istinto di sopravvivenza.

Circa mille, secondo la storica Elena Dundovich, furono i comunisti italiani vittime della repressione togliattiano-staliniana, ma molti più di mille furono di certo gli amici, i conoscenti e i parenti che subirono impotenti quei calvari disumani e senza senso.

Dove sono costoro? Chi sono? Come hanno vissuto o come vivono il loro segreto?

Da sempre la cultura dominante nel paese dei Togliatti, dei Cossutta, dei Berlinguer, dei Napolitano ci ha imposto l’antifascismo come unico pilastro della nostra democrazia; pertanto tutti ci siamo convinti della giustezza e dell’alta moralità di questa dottrina, anche perché se a qualcuno veniva l’impudenza di contestare il pensiero egemone, indicando anche l’anticomunismo come concetto integrante dei precetti di una autentica democrazia, a questo qualcuno non restava che rassegnarsi alla morte civile.

Fieramente i padri della patria, gli eroi della Resistenza affermavano, con sarcasmo e senza vergogna, che solamente il fascismo aveva causato vittime fra gli italiani, non di certo il comunismo, che mai aveva governato il Paese.

Oggi, se pur a fatica, sappiamo che non fu così.

(continua...per non dimenticare)

Tags: Palmiro Togliatti, Giorgio Napolitano, Censure comuniste, Morti italiani

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21 novembre 2007

Biodegradabilità di un partito

Forza Italia sta per scomparire.

Per l’importanza del partito e per i modi in cui questo avviene sarà un avvenimento unico nel panorama politico di questi ultimi cinquant’anni.

Il partito degli Azzurri passerà alla storia per essere stato il più grande, il più votato, il più ricco di ricchi, il più chiacchierato, il più affollato da manager e professionisti eppure il più biodegradabile mai apparso prima.

Dopo soli quattordici anni di vita il suo creatore ha deciso di farne materia diversa da quella di cui è composto e lo fa senza peraltro convocare un lacrimoso congresso di scioglimento.

Nessuna Bolognina nei pensieri di Silvio Berlusconi ma solo un invito a rimanere, per chi lo volesse, cambiando semplicemente la spilletta sul petto.

Ci ha risparmiate le lacrime che copiose scesero a Occhetto mentre abbracciava i compagni piangenti del Pci, molti dei quali a tutt’oggi non si sono rassegnati e ancora vivono il lutto di aver subito la perdita di un “pezzo di carne della loro carne”, tanto per esprimersi alla Diliberto.

Ma quanti ancora ne abbiamo sentiti di quei singhiozzi! Tanti, fino a pochi mesi fa, con Fassino e con Mussi disfatti dal dolore per la fine dei Ds e di tanti “affarucci” in comune.

Perché dietro quelle lacrime c’è sempre stata e sempre ci sarà la spartizione della “robba”, tanta e diversificata, sotto forma di proprietà immobiliari, partecipazioni azionarie, depositi bancari, associazioni, fondazioni, sindacati, coop, ecc.

Comprendendo anche la Dc di piazza del Gesù, ad ogni scioglimento, è risaputo, si è sempre fatta la fortuna dei notai.

Non è che affermiamo che Forza Italia sia una confraternita francescana ma non è neppure quell’apparato burocratico e tentacolare strutturato come un’azienda pubblica con migliaia di dipendenti.

Nasce il Pdl e qualche muso lungo lo sta causando (è fisiologico che avvenga tra gli iscritti storici di Forza Italia) ma non per questo ci toccherà assistere alla replica in versione azzurra di certi psicodrammi di altro colore, che mai al mondo vorremmo rivedere.

Si dirà che FI è del Presidente, che lo gestisce come fosse sua proprietà; forse in parte era vero agli inizi.

Però la sua biodegradabilità è stata determinata subito nel novantatre, quando nessun congresso stile sovietico (tutti i partiti, Pd incluso, hanno importato detto stile) venne convocato per imporre un’organizzazione complessa e iperdemocraticista; al contrario Forza Italia nacque in una convention-party, tra lo scherno feroce di coloro che oggi la copiano.

Ma da domani cosa accadrà nelle istituzioni dove eletti e amministratori azzurri lavorano?

Forse è già iniziata la muta a ogni livello istituzionale e, come (ahinoi!) prevede l’art. 67 della Costituzione, anche i parlamentari, non avendo vincolo di mandato, cambieranno nome e segno ai loro gruppi di appartenenza.

Intanto, come ci aspettavamo, la sinistra sta già prendendo le contromisure per arginare il nuovo pericolo Pdl; così stamane é partita la rituale offensiva mediatica contro Silvio Berlusconi e Mediaset, scontata fino alla noia.

Davvero si avvicinano tempi di scontri durissimi e non basteranno a Michela V. Brambilla tutta la passione, la buona fede e l’energia che sta mettendo in questa battaglia politica; i suoi avversari, per quanto privi di queste doti, sono tuttavia forti della loro esperienza, maturata in anni di carriera nei partiti e nelle istituzioni, che diventa soverchiante sulla sua pur ottima presenza di spirito.

Dovrebbe, secondo noi, studiare a fondo quelle materie giuridiche e quella storia politica che permettono ai suoi rivali di metterla alle corde davanti al pubblico, non di rado già maldisposto e ipercritico a causa della sua bellezza e del suo look.

Tags: Forza Italia, Pdl, Silvio Berlusconi, M.V. Brambilla

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19 novembre 2007

A Montecatini era già tutto previsto

“Io tiro dritto, la mia strategia non cambia.”. Questo l’impegno di Silvio Berlusconi che, concedetecelo, equivale al motto “Chi mi ama mi segua!”, che gli avevamo liberamente affibbiato chiudendo questo post sul dopo Montecatini.

E’ andata come avevamo previsto e ora è ufficiale: l’antipolitico del novantaquattro è tornato. Oggi è un leader molto più forte di prima, perché quello che da piazza San Babila ha lanciato il nuovo partito non è più il Cavaliere frenato (a volte paralizzato) dai cento processi delle procure di Milano e di Palermo, duramente squalificate da tante sentenze assolutorie a favore dell’allora Presidente del Consiglio.

E poi le toghe rosse, come tutti possono notare, hanno ormai fatto carriera nei partiti e, come era prevedibile, oggi occupano ministeri e seggi parlamentari offerti dal loro referente, il centrosinistra.

Neppure questa classe politica è più temibile, screditata e indebolita da scandali, abusi e malgoverno e che, per sopravvivere, dovrà arroccarsi nei palazzi occupati del potere.

Un altro aspetto interessante, tra l’altro, è che il nome Partito popolare italiano della libertà appare voluto in vista dell’iscrizione al gruppo del PPE, segno questo di un progetto studiato e pronto per essere esportato in quel di Strasburgo.

I Circoli della libertà e quelli del Buon governo erano già pronti a tesserarsi, insieme a Forza Italia, al nuovo soggetto politico che, ne siamo certi, guadagnerà adesioni da ogni parte.

Ma ora che il partito della libertà è stato battezzato, speriamo fortemente che il suo leader lo cresca e lo diriga da vero liberale, rafforzandolo di politica e di politici che siano inequivocabilmente ispirati e formati da un sincero e puro liberalismo!

Sarà il solo modo per fare le riforme di cui l’Italia ha urgentissimo bisogno e l’unico per neutralizzare i finti liberali di sinistra, quelli che si autodefiniscono ancora democratici, perché temono di essere giudicati per quello che in realtà sono, degli inguaribili comunisti.

Molti saranno gli ostacoli che i suoi (ex?) alleati gli creeranno nei giorni a venire, per cui, lo affermiamo senza alcuna retorica, il maggior sostegno su cui il Presidente potrà contare sarà quello che gli arriverà dalla gente comune.

Quello che non avrà di certo è l’appoggio dei media quasi al completo; basta leggersi una qualunque rassegna stampa per accorgersi che i violini e le fanfare che hanno sempre accompagnato le evoluzioni del PD di Veltroni stamane tacciono e al loro posto si odono i soliti tromboni della denigrazione impegnati nella bocciatura ideologica del nascituro Partito popolare.

Ecco un post che ci piacerebbe fosse letto come un contributo alla comprensione (senza troppe pretese) delle ultime vicende politiche.

Tags: Silvio Berlusconi, Partito popolare della libertà

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16 novembre 2007

Doppia moratoria e grandi maneggi

Ieri la giornata si è conclusa con due trionfali vittorie per la più formidabile accolita di illusionisti che abbia mai occupato il potere in Italia. Infatti, mentre a Roma si approvava la moratoria contro la pena di morte per il governo Prodi, contemporaneamente a New York si approvava la moratoria contro la pena di morte nel mondo.

A Palazzo Madama però i promotori del diritto alla sopravvivenza ad ogni costo di questa agonizzante legislatura hanno temuto più volte di non farcela.

Hanno perciò “ringraziato” il contributo di un senatore “dissidente”, ma non scemo, che, consapevole del peso mortale che avrebbe avuto il suo voto contrario, ha lasciato per tempo l’aula, garantendo così l’abbassamento del quorum dei voti validi. Se il compagno Turigliatto avesse votato secondo coscienza, ieri il risultato sarebbe stato non 161 sì e 157 no ma 158 no e 160 sì. Di conseguenza se tre senatori a vita si fossero distratti o appisolati, la finanziaria non sarebbe passata e il governo sarebbe deceduto.

Ma gli straordinari maneggi (quelli coperti dai silenzi stampa), di cui sono esperti coloro che governano la nazione e che provengono massicciamente da anni di carriera e di gestione degli affari nelle opulentissime, potentissime e inespugnabili regioni rosse, hanno disinnescato ogni rischio di fallimento.

Si è visto di tutto: ricatti e pressioni, comportamenti grotteschi che farebbero perdere il rispetto per la dignità a qualunque essere umano, donne e uomini trattati come animali da circo con tanto di domatore e domatrice che ne sorvegliavano i movimenti e i bisogni fisiologici.

Si è giunti al punto che ieri, in modo inaudito, il presidente di turno ha sospeso per dieci minuti i lavori per, ha dichiarato, “permettere ai senatori di uscire e “scaricare” le emozioni”! In pratica come all’asilo è suonata la campanella e ...tutti al bagno!

Ora spetta a Silvio Berlusconi (qualcuno dovrebbe spiegarci come sia possibile che le sue parole ascoltate in diretta ci risultino chiare e coerenti, ma, al contrario, se riferite dai giornali diventano sempre confuse, contraddittorie e, di conseguenza, incomprensibili) trarre le conclusioni dai fatti di ieri e decidere cosa fare e con chi.

E’ senz’altro vero che l’approvazione della finanziaria non migliora di un millimetro gli equilibri instabili interni alla maggioranza, ma ora rischia di provocare, sotto le forzature e le pressioni dei media organici al regime di centrosinistra, la fine della Cdl.

Intanto la moratoria a Palazzo Madama è passata e per i poveri Italiani si profilano tempi sempre più duri.

E a New York? A New York si è consumata un’altra presa in giro (con quali costi per il contribuente italiano non si verrà mai a sapere) che ha visto, grazie all’incessante attivismo di buona parte di questo esecutivo, il voto favorevole dei membri della Commissione diritti umani dell’Onu alla moratoria contro la pena di morte nel mondo; sì, proprio quella commissione che a rotazione viene presieduta dalle peggiori dittature del pianeta, Iran e Cina comprese.

Noi, che siamo sempre stati contro l’assassinio di stato, restiamo sbigottiti nel vedere come si strumentalizzi, per meschini calcoli politici e di immagine, una tragedia come quella che vede lo stato appropriarsi della vita del cittadino.

La sindrome da Dama della S. Vincenzo (che ha colpito tutti i politici italiani) ha regalato un giorno di effimera gloria allo splendido trio Prodi, D’Alema, Bonino! Un lavoro dai costi, dicevamo, incalcolabili ma che non condurrà a nessun risultato concreto perché non cambierà, per stessa ammissione dei suoi promotori, la realtà drammatica di quei Paesi dove la pena di morte si applica.

Ma siccome questo regime, come tutti i regimi peggiori, ha bisogno di darsi costantemente un’immagine presentabile all’esterno, dopo il risultato di ieri avrà di che pavoneggiarsi.

Tuttavia, come molti hanno denunciato, questa moratoria toglierà forza a qualunque istanza che volesse l’abolizione tout court della pena capitale.

Comunque, a metà dicembre avremo prevedibilmente l’emanazione dell’ennesima risoluzione destinata ad essere l’ultima carta straccia prodotta dall’Onu.

Si prova una certa amarezza nel leggere che questa moratoria sarebbe stata voluta in nome del popolo italiano, il quale, mai come in questi ultimi tempi (proprio per colpa di questi politici), sente a rischio la sua sicurezza; probabilmente se interpellato con un referendum si esprimerebbe, purtroppo, a grande maggioranza a favore di una giustizia sommaria.

Da parte nostra ci rallegriamo nel contare il numero crescente degli Stati che cancellano le esecuzioni capitali dai loro codici (a cominciare da quelli americani) per autonoma e consapevole presa d’atto e democratica decisione interna.

Tags: Governo, Senato, Moratorie, ONU

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15 novembre 2007

Anche Andrea aspettava "lo sbarco"

Andrea’s version - Il Foglio:

“Oggi, 15 novembre, un giorno dopo il D-day, Prodi non deve illudersi. Grande battaglia al Senato, ieri. I nostri sono sbarcati.

Si è lavorato per tutta la giornata alle teste di ponte. Lamberto Dini ha lasciato tuttora incerto sia il proprio ruolo di testa, che il proprio ruolo di ponte, che quello di testa di ponte. Tattica. Forse strategia. Forse l’una e l’altra. L’uomo è sempre stato di parola. Alla lunga sarà di sicuro dei nostri. L’operazione è stata magistralmente condotta. Il gran parlare che si è fatto del D-day ha seminato confusione nel quartier generale nemico. Si aspettava lo sbarco di qua, glie l’abbiamo fatto di là. Si aspettava la spallata, gli abbiamo fatto una finta di corpo. Si aspettava di poter andare a un convegno a New York, glie l’abbiamo bloccato. Inesorabilmente bloccato. E scusate se è poco. Il morale delle nostre truppe, quello resta altissimo. Il colonnello Bonaiuti lo sostiene con dispacci di stringata efficacia. “Ma quale D-day?”, ha dettato ieri il colonnello Bonaiuti, “Dopo la D viene sempre la E”. La battaglia contro Prodi sarà di lunga durata. Non sono mica due le lettere dell’alfabeto, ignoranti, sono ventuno.”

Può darsi che capiti a molti, dopo aver letto qualcosa a firma di un autore famoso o anche non famoso, di pensare: “Caspita! Questo pezzo sembra che lo abbiamo concordato al telefono.”.

Tags: Andrea Marcenaro, Ironia sintonica

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14 novembre 2007

Totò e la liberazione

Dall’inesauribile aneddotica che ha come protagonista Antonio de Curtis, in arte Totò, ci sovviene il racconto di uno straordinario momento della sua vita di capocomico teatrale che riteniamo sia in tema con questa giornata di trepidante attesa della liberazione.

Erano, si racconta, gli ultimi giorni dell’occupazione tedesca, Radio Londra diffondeva notizie che aprivano il cuore degli Italiani alla speranza di un imminente arrivo dei liberatori anglo-americani.

A Roma Totò, come tutti gli artisti, era sotto rigidissima sorveglianza da parte della censura nazista che ogni sera ad ogni sua esibizione, dalla platea, in divisa e con l’ausilio di traduttori italiani, vagliava con implacabile attenzione ciò che Totò e la sua compagnia facevano.

Non certo unica nella capitale, quella compagnia viveva un momento di grande eccitazione nell’attesa di quello sbarco promesso; nessuno però si sarebbe mai “suicidato” portando sulla scena la rappresentazione di tanta fremente impazienza.

Almeno non in modo esplicito.

Che fece quindi il fantastico fantasista fantasioso?

Racconta uno dei suoi cari amici che una sera, mentre il varietà imperversava , il pubblico scorse Totò raggiungere un lato del  proscenio con una sedia in mano.

Incuriosito e interdetto, lo vide sedersi nella penombra di quell’angolo e, con cadenza lenta, iniziare a battere un piede mentre, senza aprire bocca, con un’espressione spazientita, di tanto in tanto guardava l’orologio.

I censori in divisa erano troppo occupati a cercare nelle battute dei comici, nei versi delle canzoni, nei motteggi delle soubrette illuminate dai riflettori per riuscire a scorgere in quell’angolo avvolto dalla penombra qualcosa di cui preoccuparsi.

Questa piccola ma geniale trovata venne replicata più volte e Totò poté così salutare il giorno dell’agoniata liberazione da un palcoscenico e non da dentro un carcere.

Come metafora del momento che stanno vivendo, secondo i sondaggi, oltre la metà dei cittadini, questo forse solo leggendario episodio della vita di un grande italiano la consegniamo alla memoria della cronaca di oggi.

E, anche se la pensiamo come Snake, con simpatia lo dedichiamo al Cavaliere che, come Radio Londra, è riuscito a creare questo momento di assoluta suspense nazionalpopolare, annunciando ogni giorno l’imminente caduta di questo regime aggrappato al potere, a dispetto della maggioranza assoluta dei cittadini.

 

  • Aggiornamento:

Il senatore Franco Turigliatto ha appena abbandonato l'aula.

Il "dissidente" di sinistra salva pertanto il Governo abbassando il quorum dei votanti.

 

Tags: Liberazione, Totò, Regime prodiano

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13 novembre 2007

Il Cavaliere solitario

Ride Silvio Berlusconi e l’impressione che ne traiamo è quella di trovarci di fronte a un uomo liberato da una zavorra troppo pesante e troppo a lungo sopportata.

Sul palco di Montecatini sembra salito con l’intento di sfogare tutta l’euforia dovuta a questo suo nuovo stato d’animo e, come chiunque si fosse appena sciolto da qualsivoglia tipo di catena, sente il bisogno di correre e di saltare... e lo fa! Anzi lo aveva fatto il giorno prima alla convention di Storace. A proposito del senatore eletto in AN, apriamo una parentesi per ribadire che, per quanto nulla conti il nostro parere, nondimeno vogliamo affermare che consideriamo assai deleteria la creazione dell’ennesimo partitino, che gli elettori dovranno, anche stavolta, insopportabilmente subire e finanziare.

Ma, tornando al Cav., quel suo saltare provocatorio voleva essere solo uno sberleffo anticomunista o un vero e proprio messaggio rivolto a tutti, alleati e avversari alle prese con inattuabili e sfibranti proposte di riforme istituzionali?

Il presidente di FI non è mai stato un politico paludato e ingessato, ma domenica, crediamo, ha indossato un’ideale tuta da jogging per lanciarsi a correre da solo, stanco di dover attendere al palo gli alleati bloccati dai loro continui stop and go.

Col suo inappellabile e liberatorio NO a Veltroni ha preso la rincorsa verso un’agognata campagna elettorale e lo vuol fare con questa legge, fidando in quei lusinghieri sondaggi che lo vedrebbero sempre al primo posto tra le preferenze degli italiani.

In quanti però, proprio fra i suoi stessi sostenitori, saranno rimasti perplessi, delusi, persino quasi offesi nel sentirlo raccontare barzellette, aneddoti da bar dello sport, fare imitazioni e battute a doppio senso? Crediamo molti; chissà se il Cav. lo ha messo in conto tutto questo? Molto probabilmente sì.

Ma quel che più gli premeva era compiere un atto liberatorio, infischiandosene del politically correct, del politichese, dei partitocrati e anche dei media che li sostengono.

L’uomo che più di tutti aveva incarnato il sentimento dell’antipolitica, vincendo imprevedibilmente le elezioni del novantaquattro, potrebbe mai non essere esasperato fino all’eccesso dall’insostenibile ritorno trionfale della sterile politica politicante??

Questo veltronismo fintamente nuovo, sempre invischiato nei soliti giochi di potere e di sottopotere consumatisi nell’ultima scalata bancaria da parte dell’inafferrabile e multimiliardaria finanza rossa di cui Veltroni è stratega di punta, gli hanno fatto riprovare la stessa ansia del novantatre, quando decise di scendere in campo per impedire che si realizzasse ciò che oggi non è più stato in grado di fermare.

Quella macchina da guerra, fatta deragliare tredici anni or sono, da quasi due ha ripreso a correre faccendo razzìe e, secondo Berlusconi, crediamo, ogni giorno che si perde in inciuci comporta che un pezzo di Italia cada divorato dal centrosinistra.

Comunque la si pensi delle strategie di Silvio, su un fatto non si può non essere concordi ed è l’impossibilità di trovare anche il più piccolo punto di convergenza su una riforma elettorale, in queste attuali condizioni.

Neppure un ipotetico successo del referendum elettorale accelererebbe l’iter legislativo e non risolverebbe il problema, in quanto per la nostra farraginosa costituzione ogni risultato referendario non diventa automaticamente esecutivo ma torna all’attenzione del Parlamento, con le sue lungaggini, coi suoi veti incrociati che, come sempre, ne stravolgono lo spirito e la sostanza.

Riforme condivise sono impensabili, viste le mille voci dentro la maggioranza stessa, nella quale il segretario plenipotenziario del PD sembra essersi ritagliato il ruolo impossibile di portavoce unico; senza contare, altresì, che ogni invito a sedersi intorno a un tavolo rivolto da questo esecutivo appare assolutamente strumentale; è ormai noto l’assillo dei pidiani: prendere tempo per prepararsi nel miglior modo possibile all’inevitabile voto anticipato.

E che dire della contraddizione palese di un

Veltroni che apparecchia un proporzionale arzigogolato e peggiorativo di quello tedesco, dopo che per mesi ci ha sfiniti col suo grande partito unico di centro e di sinistra, che coagulasse, semplificasse, sintetizzasse tutte le meravigliose istanze democratiche del Paese?

Durante l’ultima campagna elettorale l’allora Presidente del Consiglio uscente soleva ripetere più o meno queste parole: “Se gli Italiani mi avessero dato il cinquantuno per cento, non avrei dovuto trattare continuamente con gli alleati e avrei attuato le riforme che avevo promesso.”: E’ questo miracoloso risultato che sogna il Cavaliere? Forse si sta avviando da solo verso il voto, esortando, nel suo intimo, gli alleati, con un semplice: “Chi mi ama mi segua!”?

 

  • Aggiornamento:

Leggo solo ora questo magistrale post di Phastidio, perfetto per riequilibrare l'ottimismo di questa pagina.

 

Tags: Silvio Berlusconi, Riforme, Governo, Walter Veltroni

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9 novembre 2007

Sull'uccisione di Enzo Biagi

Con tutto il rispetto che si deve ai morti ma soprattutto per quello che si deve ai vivi, sinceramente ci viene da sorridere amaro nell’assistere allo spettacolo penosamente comico che un evento tragico come la morte di una persona ha prodotto.

Sorridiamo perché troviamo ridicolo che davanti alla salma di un ricco signore quasi novantenne si pronuncino frasi del tipo “Lo hanno ucciso!”. Scusate ma si tratta anzitutto di mancanza di rispetto per la memoria e la dignità stesse dello scomparso!

E’ grottesco che qualcuno, che si tratti della figlia o dell’amico alto prelato o dei soliti politici che conosciamo, possa lasciare intendere che un uomo sia morto in seguito al dolore profondo dovuto alla perdita di dieci minuti di apparizione televisiva cinque giorni alla settimana.

Chi, alla tenera età di ottantadue anni (quando i suoi coetanei sono andati in pensione già da venti), può essersi sentito gravemente depresso e frustrato per un lavoro in meno, soprattutto dopo aver incassato una buonuscita miliardaria?

E’ patetico e ridicolo allo stesso tempo immaginare che un individuo sia tanto piccino di spirito e di intelletto da sentire che la sua esistenza senza tv è mortalmente minata.

Ma dicono che è stato ferito a morte da un ”editto bulgaro” emesso contro di lui da Silvio Berlusconi.

Beh, che la si voglia dare a bere al pubblico distratto o fazioso per ottenere consensi, in questo momento difficile per l’attuale maggioranza, lo crediamo; quello che non crediamo è che Enzo Biagi non sapesse che non ci fu nessun editto ma che, allora come oggi, l’ordine era di strumentalizzare ogni evento che potesse colpire l’immagine dell’odiato nemico.

Quel 18 aprile del 2002 Berlusconi era a Sofia, aveva terminato una conferenza stampa e, a margine di questa, fuori dall’ufficialità, si mise a discorrere coi giornalisti che lo circondavano.

Qualcuno gli fece delle domande sulla Rai e lui rispose così: “La Rai tornerà ad essere una tv pubblica, cioè di tutti, non partitica come è stata durante l’occupazione militare della sinistra. L’uso fatto da Biagi, da quel...come si chiama? Ah Santoro e da Luttazzi, è stato veramente criminale e fatto con i soldi di tutti. Preciso dovere di questa dirigenza sia quello di non permettere più che questo avvenga.”.

Queste parole pronunciate da un Prodi avrebbero suscitato frenetici applausi e consenso universale!

Bisogna anche dire che i tre tele-conduttori erano investiti di un diritto divino a restare fino alla morte in Rai, diritto che appartiene solo a quelli di sinistra, gli altri vengono cacciati in silenzio senza che nessuno pensi di incendiare Viale Mazzini.

Forse che richiamare la tv pubblica alla sua missione pluralista e non partitica (scusate ma scrivere tv pubblica ci causa allergia) è una proposizione da dittatore?

E’ evidente che soltanto una persona patologicamente autolesionista avrebbe potuto comunicare ai giornalisti l’intenzione di licenziare dei dipendenti della Rai, specie di quel calibro.

Enzo Biagi non poteva non sapere che il suo nome era stato usato a mo’ di esempio (calzantissimo!) e che l’allora Presidente del Consiglio non pensava affatto al suo allontanamento.

Intanto Filippo Facci viene censurato dalla Rai di oggi, querelato per aver espresso il suo diritto di critica attraverso il suo quotidiano.

Sembra di vivere una commedia dell’assurdo, sapendo che ieri, nel programma di Santoro, dove si delirava sulla cacciata di Biagi, doveva essere presente proprio Facci, escluso invece da un “editto romano” e che, non essendo un giornalista allineato a sinistra, temiamo che non se la passerà bene durante i prossimi mesi a venire.

Tags: Enzo Biagi, Silvio Berlusconi, Rai, Filippo Facci, Calunnie

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8 novembre 2007

Capezzone lascia

Con questa lunga lettera si chiudono mesi di pressante assedio stretto intorno alla poltrona di presidenza della Commissione Attività Produttive sulla quale sedeva Daniele Capezzone.

L’esercito degli assedianti potrà finalmente poggiare sull’ambito scranno le proprie insegne e da domani un altro pannelliano o un socialista di Boselli si accomoderà al posto del reprobo.

La lettera di dimissioni che Capezzone ha inviato a Bertinotti contiene, tra le molte altre cose, alcuni intenti pedagogici indirizzati ai giovani, affinché possano trovare nella politica non solo gli appartenenti alla Casta degli abbarbicati al potere ma anche persone che sappiano compiere scelte coerenti e coraggiose come la sua.

Quanto però queste dimissioni siano state frutto di una volontaria presa d’atto del deputato e non piuttosto la resa per sfinimento da pressing pannelliano non è dichiarato ma è intuibile.

Forse solo chi ha il coraggio e la forza di ascoltare con attenzione e assiduità Radio Radicale potrà avere l’esatta misura delle stremanti pressioni psicologiche e politiche esercitate, sotto le quali nessun nemico di Pannella avrebbe potuto resistere più a lungo di così.

Da oggi si può essere ragionevolmente sicuri che Capezzone abbia messo fine a un mobbing irresistibile, fatto di quotidiane dosi di sarcasmi, ironie, consigli fintamente paterni e voltafaccia insolenti.

Tuttavia, dagli innumerevoli e torrenziali interventi radiofonici di Pannella, si evince che a costui non basta aver tolto la poltrona al suo ex pupillo ma che da tempo tenta di sottrargli anche la ribalta del liberista doc che Capezzone calca da qualche anno.

Così, dopo tante accuse di tradimento delle battaglie libertarie a vantaggio di quelle liberiste, giudicate troppo comode e opportuniste, rivolte al suo discepolo, Pannella ha lanciato se stesso e i suoi adepti in un totalizzante liberismo, già contenuto in un vecchio e languente network che, come un prestigiatore col coniglio, ha estratto e pubblicamente riproposto, con fulmineo e preciso timing, lo stesso giorno della presentazione del capezzoniano Decidere.net.

Tanta è la foga che paradossalmente ora è lo stesso Pannella ad essere accusato di trascurare i temi civili per lanciarsi troppo in quelli economici!

E se il vecchio leader continua a vedere incalzare inarrestabile la primavera di democrazia prodotta dalla mirabolante attività di governo di Romano Prodi e plaude alla coppia Spinelli&Scalfari, pronto a gettarsi sul fuoco con loro per non far finire questa legislatura, Capezzone attacca invece l’editorialista della Stampa con argomenti che amareggiavano il suo ex compagno di partito.

Infine una riflessione su Benedetto Della Vedova che, intempestivamente, aveva inviato questo appello, palesemente irricevibile, ai congressisti di Radicali italiani e al loro capo, invitandoli a lasciare l’attuale maggioranza ponendo fine a questa legislatura, ignorando che, proprio in quelle ore, Pannella si scagliava con veemenza contro chiunque “antidemocraticamente” osava delegittimare il suo governo.

Ma, pochi giorni dopo, con quest’altra lettera aperta BdV ha rimesso ordine nella tempistica e nella sostanza della sua iniziativa politica.

Tags: Daniele Capezzone, Marco Pannella, Benedetto Della Vedova

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7 novembre 2007

Fu un marito affettuoso e un padre esemplare

Con questo abusato epitaffio iscritto sui marmi tombali o sui necrologi cittadini si suole riassumere lapidariamente (è il caso di dirlo) quella che sarebbe dovuta essere l’esistenza di un defunto.

E’ la tradizione che lo vuole, per un diffuso senso di rispetto che si deve verso chi è passato a miglior vita. Tutti sono consapevoli che la frase è solo convenzionale e poco importa se il congiunto che giace dentro quella bara, al contrario, sia stato un uomo violento che picchiava moglie e figli dopo essere tornato a casa ubriaco.

Chi mai, durante le esequie, rischierebbe il linciaggio proferendo ad alta voce ciò che veramente pensa dello scomparso?

E in fondo è giusto così.

D’altronde anche intorno alla morte di Enzo Biagi sembra che le cose non stiano poi andando tanto diversamente.

Le lodi e gli elogi sulla sua vita privata e professionale sono grandinati sui media in modo assolutamente trasversale e migliaia di coccodrilli hanno “listato a lutto” stampa e radiotv.

Biagi, idolatrato da vivo, si guadagna una sorta di beatificazione da morto, in una gara senza ostacoli a chi lo ha conosciuto di più e meglio.

Ma fu vera gloria? Non c’è stata, per caso, una conformistica sopravvalutazione dell’uomo e del professionista? Certo che sì! Sarebbe troppo lungo però sondarne qui le motivazioni, che sono innumerevoli e rientrano nei livelli vari e complessi delle dinamiche che si agitano tra l’umano e il corporativistico.

Noi abbiamo sempre giudicato Biagi un luogocomunista, un intellettuale che ha concorso a mantenere gli italiani fermi nell’illusione che l’unico pericolo per la nostra democrazia fosse rappresentato dal nazifascismo; l’indulgenza verso il totalitarismo socialista è al centro dei suoi vecchi documentari sulla Cina maoista o sui paesi sotto il dominio dell’Urss.

Per noi Biagi rimane quello delle banalità inflitte ai lettori del Corsera trasfuse nei suoi ripetitivi editoriali domenicali.

Biagi è stato di certo un talentuoso artigiano della scrittura, peccato che quello che scriveva non fosse all’altezza di quel talento.

Perché poi fingere di dimenticare che la buonanima fece un uso improprio del servizio pubblico televisivo, esponendosi fino a turbare pesantemente lo svolgimento di una campagna elettorale?

Perché voler dimenticare di come blandisse un Silvio Berlusconi imprenditore di successo e di come ne divenne un feroce denigratore quando questi si diede, da impolitico, alla politica?

Noi vogliamo ricordare Enzo Biagi attraverso questo post di oltre due anni fa, firmato da Blind (nick name precedente di Perla), pubblicato in un blog che, a quel tempo, ci piaceva.

Nondimeno, comunque la si pensi, riposi in pace!

Tags: Enzo Biagi

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6 novembre 2007

Cannocchiale addio?

Va bene tutto!

Va bene dover prendere atto che la stagione buonista di Veltroni è tramontata.

O che la faccia feroce della smoderata sinistra moderata ha preso il sopravvento su quella compassionevole della sinistra radicale.

O che Paolo Franchi (l’attuale direttore del Riformista) non ha il tono e il timbro dell’affabile e mansueto Antonio Polito.

O che il Riformista si adegua ai piani del Pd e lo segue nella sua spietata guerra contro l’invasione dei criminali, approvando le espulsioni degli intrusi e degli illegali dal Paese.

Va bene, per carità, capiamo tutto, ma i C.A.P.T.C.H.A. quelli proprio NO!!!

Si chiudano pure, se proprio si deve, le frontiere ai Rom e agli spam, ma si lascino entrare liberamente tutti coloro che, nel rispetto delle regole e della legalità imposte e condivise nel Paese e nella blogosfera (oggi fa tendenza esprimersi così), non indulgono in spamming (mica sono robot) ma desiderano solo commentare i fatti e le opinioni che più gli aggradano.

Dal 31 ottobre Il Cannocchiale ha innalzato la universalmente bocciata nbarriera informatica, che consiste nella verifica delle lettere distorte da copiare prima dell’invio di un commento, i famigerati C.A.P.T.C.H.A. ottici e lo ha fatto di default per l’intera piattaforma, nonostante, a parere di alcuni, non se ne sentisse l’esigenza.

Detto ciò, si legge che tuttavia l’amministrazione dà agli utenti la facoltà di disattivarli e sarebbe fantastico che tutti lo sapessero e scegliessero di fare click su “annulla verifica caratteri” (o quel che l’è) e riportassero il popolarissimo Cannocchio alla sua completa accessibilità di sempre.

Sperem!

Tags: Il Cannocchiale, C.A.P.T.C.H.A. ottici, Barriere in rete

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Esegeti della domenica

La scorsa settimana i lettori di Repubblica, come quelli della Stampa, saranno rimasti stupiti nel trovare sui loro rispettivi quotidiani gli interventi, in un giorno feriale, di due giganti della prima pagina domenicale.

Quale sarà stata l’emergenza, si saranno chiesti, che ha spinto la coppia a rompere il tradizionale silenzio infrasettimanale? Cosa sarà accaduto di tanto grave nel Paese per gli esimi maitre à pensée del dì di festa? Per capirlo bisognerebbe leggere questo articolo, nel quale per prima a lanciare l’allarme, a denunciare il complotto che tutti vanno ordendo per attentare alle istituzioni è stata lei, Barbara Spinelli. Nella lettera-editoriale “inviata” al suo direttore si legge: “Mai ho visto tanta gente uniformemente invocare la fine di una legislatura, e volontariamente servire il disegno di chi parla di democrazia ma non ne rispetta la regolamentazione.”.

Il giorno dopo è apparso lui, Eugenio Scalfari, pronto ad asciugare il pianto della sua antica pupilla e lo ha fatto scrivendo un articolo come sempre lunghissimo, dal tenore molto scalfariano, insinuante, furbescamente malevolo contro i suoi colleghi-avversari, sordamente fazioso e, in finale, stucchevolmente paterno verso la collega, donna ferita nei sentimenti più intimi; scrive infatti in tono epico: “Ancora ti ricordo quando giovanissima cominciasti a lavorare con Repubblica fin dall’inizio e con noi temprasti i tuoi strumenti professionali, politici ed etici, che hai sempre più affilati col passare degli anni ed ora sono più che mai saldi nelle tue mani.”

Spinelli e Scalfari criticano il direttore della Stampa Giulio Anselmi, si scagliano contro il capo dell’opposizione, contro i sondaggisti e gli opinionisti per ciò che vanno dichiarando da mesi contro questo esecutivo, auspicandone la fine anticipata.

La signora della domenica trova intollerante e anticostituzionale che qualcuno possa delegittimare il suo amato... governo e lo ribadisce più volte in questo “fuori programma” di appassionato e incondizionato appoggio a Romano Prodi (?).

La lettura dei due editoriali ha suscitato in noi alcune amare riflessioni, forse perché non rientriamo nella categoria degli smemorati ma, al contrario, manteniamo viva la memoria di fatti avvenuti, oltretutto, molto di recente.

Allora vorremmo ricordare ai difensori della sovranità popolare (evidentemente solo quella di sinistra) che di ben più gravi forme di delegittimazione si sono macchiati, insieme agli amici, ai compagni e ai colleghi, loro stessi, anziani politologi apparentemente colpiti da una comoda amnesia senile.

Durante i cinque anni del governo Berlusconi (per tacere del biennio ’94-‘95), premiato dal popolo con una maggioranza schiacciante (niente affatto dubbia e risicata come l’attuale), non è passato giorno senza che in qualche mass media del globo, nelle piazze, nei parlamenti italiano ed europeo, negli istituti di cultura dei nostri consolati sparsi per il mondo, ovunque si facesse informazione e spettacolo e persino dentro il palazzo di vetro delle Nazioni Unite, non è passato giorno, dicevamo, senza che il capo del governo, il consiglio dei ministri, il parlamento che lo sosteneva e ciascun cittadino elettore di quell’esecutivo venissero sbeffeggiati e criminalizzati.

Si trattava forse di uso di strumenti impropri?

Nossignori! Esclusivamente di esercizio democratico della libertà di espressione e guai a chiunque si fosse permesso di metterlo in dubbio.

Oggi che neppure un milionesimo dei delegittimatori di allora è all’opera, Barbara Spinelli, spalleggiata da Scalfari, si rende tristemente e paradossalmente colpevole di un attacco vergognoso quanto patetico alla libertà di impresa (sondaggisti), alla libertà di informazione e di opinione e alle libertà della minoranza che, in democrazia, da sempre si oppone con ogni mezzo lecito.

Tutte prerogative sacrosante tutelate dalle leggi ordinarie dalla Costituzione.

Da che pulpito viene la predica, ci verrebbe da dire! Da quello di due quotidiani che furono e sono (Repubblica molto di più) ideologicamente e tenacemente in prima fila nel condurre un decennale linciaggio mediatico entro e oltre confine e che ha gravemente compromesso l’immagine dell’Italia nel mondo!

E’ comunque curioso notare come la coppia Spinelli & Scalfari si esibisca spesso nel ruolo improprio di esegeta, quando della bibbia laica, quando di quella sacra.

Tags: Barbara Spinelli, Eugenio Scalfari, Padoa Schioppa, Costituzione

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5 novembre 2007

Quando i Veltroni fanno oh

Col passare degli anni c’è chi diventa sempre più cinico e disincantato, smette di credere a Babbo Natale e alla Befana, guarda la realtà che lo circonda con spirito critico e, se è stato fortunato, si rallegra per non aver commesso troppe sciocchezze nella vita.

C’è chi ha fatto politica e si sente a posto con se stesso, contando di essere cresciuto militando nella parte giusta, quella, per essere precisi, dove si sarebbe aspettato di incontrare idealmente Ayn Rand e dove orecchiava storie e filosofie liberali.

C’è chi pensa che, se pure quella non fosse stata l’unica parte giusta, non si è però dovuto pentire di esserci stato perché mai nessuno, né dentro né fuori né vicino né lontano, si era reso complice del più piccolo crimine in nome del comune ideale.

C’è chi si compiace di aver capito prestissimo, nonostante la generale santificazione, che il comunismo non era solamente un’idea sbagliata ma che dove aveva attecchito non poteva aver disseminato altro che il terrore.

C’è chi quel tipo di terrore lo vedeva raffigurato ogni giorno ovunque e non si spiegava per quale giustificato motivo parlasse solo tedesco e italiano.

C’è chi avrebbe voluto che quel sacrosanto monito. “per non dimenticare”, rinnovato ad ogni riproposizione delle immagini crudeli sulle atrocità nei lager nazisti, avesse accompagnato anche le immagini sulle atrocità commesse per circa un secolo dai comunisti al potere in ogni parte del mondo.

Qualcun altro invece c’è che è sempre stato dalla parte sbagliata, che ha guidato per anni organizzazioni comuniste, che lo ha fatto da potente e squadrato dirigente del Pci-Pds-Ds, che si è reso complice degli errori, anche mortali, sottaciuti e nascosti durante trent’anni di omertosa carriera nel potente partito-azienda (foraggiato dai finanziamenti illeciti in rubli, Coop rosse capitali Unipol e altro) e che oggi si candida a governare l’Italia.

Tuttavia, con lo stesso stupore di quando i bambini fanno oh, eccolo spalancare la bocca e: “Oh, non mi ero mai accorto dei campi di concentramento di Pol Pot”!”???. “Oh, ma davvero c’erano i gulag in Russia?”. “Oh, ma Mao aveva sterminato milioni di cinesi durante la sua rivoluzione e ha continuato anche dopo?”, ecc.. Leggendo qui si potranno trovare le varie dismissioni del pesante corredo ideologico di sinistra operate dal neo democratico Veltroni.

Ma noi proprio non gli crediamo! Non si può confidare in un uomo che si esprime con questo legnoso politichese: “Io ero ragazzo negli anni settanta ma pensavo che avesse ragione Jan Palach e non i carri armati dell’invasione sovietica.”!!! Evidentemente per il compagno “mai stato comunista” in fondo tra un ragazzo che si dava fuoco in nome della libertà e gli spaventosi carri dell’Armata Rossa c’era stato solo un confronto dialettico su alcuni punti di vista divergenti!

E tanto era convinto delle ragioni di Jan Palach che pochissimi anni dopo la tragedia di Praga, ancora inorridito dal criminale regime comunista, Veltroni entrò nel partito noto per essere il suo miglior alleato d’occidente e vi iniziò una brillantissima carriera di autentico partitocrate.

Da anni, nonostante la sua storia, millanta di non essere mai stato comunista, ma provate ad ascoltare qui Fiamma Nirenstein, che con lui ha militato, nella loro non molto lontana gioventù, dentro la FGCI.

Noi non crediamo a Walter Veltroni, crediamo a Fiamma Nirenstein, che fatichiamo ad immaginare col pugno chiuso alzato al fianco del compunto grigio segretario del Pci. Mentre Nel Veltroni di oggi, al contrario, continuiamo a vedere l’intransigente burocrate da comitato centrale, che ha cambiato look ma non forma mentis.

Non gli crediamo perché non ci convince chi fonda, nei peggiori dei modi, un Partito chiamato democratico. –Democratico- è il termine più abusato da tutti gli ideologi e dittatori comunisti, da lui stesso riproposto ad ogni riformulazione nominale del partito di Togliatti.

Forse persino gli americani, che lo adottarono in tempi non sospetti, non lo userebbero più, visto come tra di loro si è diffuso da tempo l’appellativo liberal.

In un Paese occidentale moderno non ha senso ricorrere all’aggettivo democratico, è tautologico e vuoto di valore riformista, sa di stantìo e di rimasticato all’infinito, nondimeno è perfetto in bocca allo strano segretario del PD.

Per quanto cerchi di nasconderselo, è realistico concludere che il già incoronato premier si sentirebbe completamente a disagio se venisse trascinato su un terreno non suo che portasse il nome di una vera rivoluzione liberale.

Ha fondato, con altri “giovani” rottami del cattocomunismo, un partito vecchio, dove tutto è già scleroticamente sovietico; dove c’è un segretario, un comitato di probiviri, tante sezioni e un immenso patrimonio finanziario e immobiliare, legato mani e piedi alla finanza rossa, al sindacato organico e ai poteri forti che paralizzano ogni volontà di riforma dello stato.

In questo articolo di Marco Cavallotti la prova di cosa intendano Veltroni e i veltroniani per presa di distanza dall’esperienza comunista.

Tags: Walter Veltroni, Partito Comunista, Partito Democratico

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1 novembre 2007

La vendetta del falso in bilancio

Gliel’avevano giurata a Silvio Berlusconi!

Durante i cinque anni di guerra senza quartiere che avevano ingaggiato contro di lui e il suo governo, si erano preparati per bene.

L’avevano scritto col sangue che, una volta preso Palazzo Chigi, non avrebbero fatto prigionieri e così è stato.

Nell’arco di pochi mesi hanno fatto tabula rasa intorno, bruciando e distruggendo ogni traccia del passaggio del precedente governo.

Presto appiccheranno il fuoco anche alla legge Biagi e, tra ululati di vittoria, finalmente i più assetati di vendetta stanno per demolire la riforma sul falso in bilancio!

Giuliano Amato doveva far passare il suo ddl sul pacchetto per la sicurezza, i bolscevichi però erano pronti a innalzare le barricate per non far passare quel progetto fascista, per cui ecco spuntare l’osso dell’odiata depenalizzazione dei reati di falso in bilancio, voluta dall’odiatissimo nemico.

Prodi lo ha lanciato ai rancorosi ministri rosso-verdi che se lo stanno rosicchiando beati mentre i ministri proponenti si sono garantiti l’astensione e il disegno di legge è stato approvato.

Ora non resta che augurarsi che questo inattuabile ddl faccia la stessa fine di quello catastrofico sui Di.Co, morto e sepolto sotto la fredda lava prodotta dal vulcanico trio Amato-Pollastrini-Bindi.

Per un po’ di tempo i bassi istinti revanscistici che dimorano in questo governo saranno soddisfatti. Prendere di mira coloro che hanno dei bilanci importanti da gestire, significa colpire per primo Berlusconi, rendere la vita impossibile ai ricchi e sporchi capitalisti e questo è ciò che di più euforizzante possano inalarsi.

Ma mentre qualcuno cerca di autoconvincersi, per convincere i meno fanatici, della bontà dell’iniziativa, qualcun altro, vedi Franco Debenedetti, la vede come noi: soltanto voglia di rivincita!

Tags: Falso in bilancio, Silvio Berlusconi, Sinistra

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