14 dicembre 2007

Tutti gli uomini dell'Ingegnere

Giuseppe D’Avanzo scrive, scrive e scrive. E’ un cronista che ci ha sempre regalato momenti di grande giornalismo d’inchiesta! Però, se ci è permesso, diciamo che ci appassiona e ci coinvolge come la vista di uno scarabeo stercorario. Egli è un instancabile riportatore di verità rivelate o, diciamo meglio, di rivelazioni fotocopiate e ben confezionate che troppo frequentemente emanano pessimi olezzi.

Ed è di questo che l’indomito repubblicones si nutre alla stregua del simpatico stercorario, cioè di quel particolare materiale organico che da anni alcune procure sembrano produrre su sua precisa commissione.

Ci fu un tempo, prima dell’avvento delle tecnologie digitali, in cui un giornalista esercitava il massimo del suo fascino mentre a perdifiato gridava: “Fermate le rotative!”.

Ciò avveniva nel frastuono delle macchine quando, all’ultimo secondo utile, nel grande giornale l’incalzare degli eventi costringeva lui, cronista d’assalto, a cambiare la notizia quasi stampata.

D’accordo, è vero, questi momenti appartenevano più ai film sul genere di quelli di Billy Wilder o di Orson Welles e meno alla realtà delle tipografie italiane, nondimeno ci piace usare questa immagine per meglio figurarci il D’Avanzo, all’acme della sua giornata redazionale, quando, giunto ormai alla fine di un lungo lavoro di ricerche, di confutazioni, di sopralluoghi e di verifiche incrociate, stremato sta per mandare alla stampa il suo pezzo ultimato.

E’ lì, è in quel computer e da lì sta per essere inviato all’impaginazione.

Non ci sono dubbi e tentennamenti; pertanto il giorno dopo i lettori di Rep conosceranno tutte le spietate rivelazioni sugli intrecci politici e finanziari che si nascondono dentro le fondazioni di proprietà della sinistra, enti che gestiscono i tesori dei Ds e di altri partiti che ancora oggi si chiamano comunisti.

Un pezzo che gronda blood, sweat and tears, per quanto è duro e sofferto, e che finalmente toglierà il silenziatore a quella sordida guerra fratricida che da mesi si sta combattendo tra dette fondazioni e il Pd di Veltroni. Un’inchiesta che scava nei meandri affaristici e nei conflitti di interessi che avvelenano il mercato e la corretta concorrenza tra le imprese dove dilagano le pesanti cointeressenze della sinistra.

Il nostro eroe, stremato ma col cuore colmo di orgoglio professionale, è pronto ad affrontare anche l’esilio pur di pubblicare quelle dannate storie; già elabora le puntate seguenti, per le quali ha tracciato i grafici raffiguranti le ragnatele fitte e intricate dei percorsi lungo i quali serpeggiano i tanti milioni di euro che mai nessuno prima di lui aveva così compiutamente fotografato.

Ma...

Beh, proprio nel momento in cui sta per premere “invio” viene fermato dal telefono: un pony express ha un plico urgentissimo per lui! Lo apre e, incredibile ma vero, contiene verbali meravigliosi inviatigli dalla procura di Napoli affinché ne faccia il solito buon uso che sa.

Al diavolo la finanza rossa! Chi glielo fa fare poi in fondo di inimicarsi i padroni? Guarda l’ora, lancia mentalmente la fatidica formula: “Fermate le rotative!” e con due o tre copiaincolla il pezzo è pronto e Repubblica potrà, senza tanti patemi, uscire con l’abituale pallottola di quella cosa ben salda sul dorso del nostro solito coleottero stercorario. Il resto lo abbiamo letto a profusione e ancora a lungo ne leggeremo!

Quello che non leggeremo mai non è solo l’inchiesta sui traffici di denaro circolante tra tesorerie di partiti, fondazioni, cooperative, banche, ecc. legati strettamente all’attuale maggioranza ma nulla sapremo neppure di come e di quanto si è intascato Giuseppe D’Avanzo grazie alla cessione dei diritti del suo libro dal quale è stata tratta la fiction per Mediaset, “Il capo dei capi”.

Quali stranezze riserva la vita! Il giornalista di Repubblica ha venduto i diritti del suo saggio a una società che, dopo averlo pagato, ha incassato a sua volta non da un cliente qualunque, no, proprio da Mediaset di Silvio Berlusconi, quella Mediaset che oggi ha forti vincoli societari con quella stessa casa produttrice. Ce ne sarebbe abbastanza per una mente contorta come quella di questo cronista per instillare sospetti, mutarli in certezze, mostrando inesistenti e oscure trame fatte di misteriosi passaggi di denaro e di azioni societarie, il tutto “impreziosito” da brandelli di conversazioni telefoniche intercorse tra lui e qualche contraente e manager tv.

Sull’opera libraria di D’Avanzo vorremmo aprire una parentesi, perché se la trasposizione tv non si discosta dal libro (che non abbiamo letto), ci permettiamo di definire irreali quei dialoghi tra uomini d’onore che, se fossero stati tanto prolissi, avvenuti senza le prudenti reticenze, con le vitali omissioni di nomi propri di luoghi e di persone, non avrebbero garantito né a Riina né a nessun altro mafioso la lunga carriera criminale che conosciamo.

D’Avanzo ha raccontato una storia nella quale non è riuscito, lui che è un venditore di parole, abituato a metterle in bocca anche a chi non le ha mai pronunciate, a descrivere quei silenzi eloquenti, il non detto che il plurisecolare codice mafioso impone, sanzionando mortalmente i “quaquaraquà”, maldestramente descritti da D’Avanzo il quale, ad ogni buon conto, ha collaborato alla sceneggiatura del film.

Tags: Giuseppe D'Avanzo, Informazione, Politica, Affari, Giustizia spettacolo

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