11 dicembre 2007

La rabbia e l'orgoglio di Fini Gianfranco

Gianfranco Fini è preoccupato. Lo è molto e questo non gli giova, politicamente parlando.

Lo abbiamo ascoltato con attenzione durante l’assemblea di AN che si è svolta domenica scorsa e non abbiamo capito, perdonate, cosa abbia egli in programma per il futuro del suo partito.

Ciò che ci pare di aver colto è un certo nervosismo per quanto sta succedendo intorno a lui e sulla sua pelle, partendo dal poco rassicurante esodo di militanti e simpatizzanti di AN verso il Pdl di Silvio Berlusconi. Abbiamo capito che il giovane Fini non ama i cambiamenti repentini che seguono a decisioni altrettanto repentine che, al contrario, sono la prerogativa del leader dell’ex Cdl.

Fini si è sentito destabilizzato, lui che avrebbe continuato a militare tra le sicure mura della Casa delle Libertà, sacrificando, per amor di coalizione, parte della sua leadership.

Lo scrollone è invece arrivato improvviso e inesorabile, portando con sé lo sfratto e un’invito ad entrare in una nuova casa politica.

Una casa, stavolta, senza pareti divisorie, cioè senza più stanze e servizi autonomi e indipendenti. Un “open space” dove i partiti si confondono, perdendo la loro antica identità. Non più segreterie e direttivi nazionali e dirigenti politici con simboli diversi ma solo donne e uomini e un unico leader: Silvio Berlusconi.

In poche parole la fine di Alleanza Nazionale, così com’è strutturata oggi. Diventa quindi difficile dare torto al presidente di AN, se teniamo conto che in gioco c’è un’intera vita vissuta per il partito e una carriera politica solida, attraversata da un solo momento traumatico, riassorbito e metabolizzato attraverso una fase lunga, ponderata, organizzata e accompagnata dal presidente e i suoi “colonnelli” fino a Fiuggi e ancora un po’ oltre.

Con questi presupposti e con un pessimo stato d’animo, non scevro da un certo rancore personale, Fini ha parlato all’assemblea del nove dicembre, esponendo una relazione, a noi è parso, molto aggressiva e un po’ incoerente.

Un uomo con la sua esperienza politica, un passato da giornalista, un incarico ministeriale di grande prestigio, non può non aver misurato, con freddo calcolo e una buona dose di livore, frasi come questa”.....siamo alle comiche finali.”, parole dette col fine di stroncare le “inaccettabili” iniziative di Berlusconi.

Senza dubbio Fini aveva pesato bene l’effetto mediatico di quella frase e si era sicuramente prefigurato i titoloni e le strumentalizzazioni ad opera delle redazioni dei giornali, scritti e parlati, che sarebbero usciti quel giorno e il giorno seguente.

Grazie alle circostanze favorevoli verificatesi in contemporanea alla riunione di AN, quasi tutti i media hanno potuto offrire al pubblico due immagini contrastanti tra loro: un centrodestra litigioso e ai ferri corti con a fianco l’immagine di una sinistra unita, concorde e sorridente, sotto un sereno arcobaleno (nulla di più falso ma tant’è...).

La rabbia è una cattiva consigliera e forse il presidente di AN ha nascosto il dettaglio “irrilevante” che quelle comiche finali hanno già visto milioni di “attori” farsene interpreti.

Ma c’è un passaggio della relazione di Gianfranco Fini che ci lascia vieppiù perplessi ed è quello dedicato alla prossima legge elettorale! Egli ha minacciato di ostacolare duramente in Parlamento la riforma sulla quale Berlusconi e Veltroni si stanno accordando. Il motivo di tanta intransigenza non ci è dato capire. Salvo che per il premio di maggioranza alla lista vincente, previsto dalla proposta referendaria e non da quella di Veltroni, per il resto i due progetti si discostano di poco. I referendari parlano più chiaramente di sbarramento per le liste piccole, mentre il segretario del Pd parla, con un orrendo neologismo politichese, di sproporzionalità. Il punto dirimente che giustificherebbe quel mettersi di traverso per impedire l’iter parlamentare si chiama programma di coalizione. Secondo Vassallo (il collaboratore di Veltroni) la sua condivisione può avvenire anche dopo le elezioni; intorno al programma si stringerebbe la coalizione di maggioranza che, su queste basi, formerebbe il suo governo.

Fini respinge con forza questa soluzione e con altrettanta forza propone il programma unitario e il patto di coalizione prima di presentarsi alle urne.

Umilmente ma francamente questa rigidezza ci appare una mera questione di lana caprina, in quanto i partiti (speriamo sopravvissuti in pochi) presenterebbero in ogni caso le rispettive proposte di governo durante l’intera campagna elettorale e, comuni o no, sarà su quelli, divenuti stranoti a tutti, che si formeranno maggioranza e opposizione.

Fini, come quasi tutti i promotori del referendum, si dice pronto ad archiviare le firme raccolte per passare all’esame di ipotesi diverse, mattarellum e tattarellum compresi. E’ curioso, solo per inciso, notare che il prof. Vassallo è al contempo estensore del progetto Veltroni e membro del comitato di Giovanni Guzzetta. Un altro nome celebre presente nel comitato per il referendum elettorale è quello di Michele Salvati, ispiratore e realizzatore del Partito Democratico! Intanto, in settimana, alla Commissione affari costituzionali arriverà la bozza di riforma della legge elettorale sulla base di quella presentata a tutti da Veltroni. Dovrebbe essere approvata in poche settimane e annullerebbe così l’iniziativa referendaria. Ma di questo riparleremo nelle prossime settimane.

Oggi, nel nostro piccolo, esprimiamo la nostra comprensione a Gianfranco Fini, immaginando quanto possa essere doloroso e ed estremamente complesso sciogliere un partito organizzato in modo ferreo come Alleanza Nazionale; pertanto non ci aspettiamo che questo processo si avvii domani, anche se...

Da persone convinte che siano gli uomini che fanno i partiti e non viceversa, ci auguriamo che Gianfranco Fini trovi la calma e l’equilibrio di cui avrà bisogno per affrontare le “perdite” e i travagli che potrebbero verificarsi nella sua AN-Alleanza per l’Italia.

E visto che siamo in vena di consigli non richiesti ai ragazzi di AN, come a quelli di FI, UDC e Lega, che hanno lavorato insieme per il successo di molte iniziative comuni e che ora non sanno come superare le diffidenze che i vari leader hanno instillato nelle loro menti, suggeriamo di non guardare la spilletta col simbolo del proprio partito ma di chiedersi se si sentono ancora accomunati dagli stessi obiettivi, per i quali, solo poche settimane fa, avevano investito tanto tempo e (qualcuno) anche tanto danaro. Lavorare sulle stesse idee e sugli stessi progetti politici unisce concretamente le persone laddove l’ideologia del partito tenderebbe a dividerle. Basterà tenere presente che i partiti sono strumenti, mezzi transitori e non i fini ultimi da difendere a qualunque costo, specie se il costo, come avviene in Italia, lo pagano carissimo i cittadini esasperati.

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