17 luglio 2007

Furio Colombo e i pensionati

“...i soldi sono nei tesoretti di Corona e Fiorani e Lele Mora, veri monumenti al valor civile del nostro tempo. I costi del lavoro li stabiliscono loro. La pensione, magari un pò eccessiva, l’hanno già accumulata...I figli di quei poveri diavoli che adesso sono col cuore in gola in attesa di sapere se devono vergognarsi di andare in pensione prima dei sessantacinque anni... adesso, quanto a modelli per il futuro, sanno dove guardare...”.

Quanto sopra è contenuto in un recente editoriale di Furio Colombo ed esprime, lasciatecelo dire, un concetto da simple mind, verosimilmente mutuato dalle conversazioni alterate dal buon rosso emiliano, frequenti tra i tavoli delle sale da Bingo o delle case del popolo, captate da qualche collaboratore del senatore-giornalista diessino.

E’ chiaro che per il fu presidente della FIAT statunitense, passato dal dorato servaggio degli Agnelli a quello del proletariato, il nuovo nemico di classe non è più il padrone sporco capitalista ma è il fotografo cafone che, per maggior disdoro, direttamente o indirettamente, si è macchiato del reato di lesa maestà verso due splendidi esempi di irreprensibile signorilità come gli intimi Silvio Sircana e Lapo Elkan!

Furio ha ragione! La pericolosità sociale di Corona, Mora e Fiorani è altissima e comprovata dallo stesso Colombo che, guarda la combinazione, egli iscrive d’ufficio tra le fila berlusconiane, che oggi minacciano cinicamente la serena vecchiaia dei lavoratori dipendenti.

La pericolosità sociale di Fabrizio Corona e dei suoi complici sta nell’essere il modello negativo per antonomasia, totalmente privo di senso civico, al quale le nuove generazioni di proletari si ispireranno senza dubbio, da teledipendenti decerebrate quali sono (!?!).

Insomma il settantaseienne giornalista rieletto al Senato, in piena attività professionale e spartitocratica (per mero spirito di servizio spartirà la grottesca e finta sfida a Veltroni con la margheritina Rosi Bindi, nel tentativo di rivitalizzare il già morituro Pd), nonchè super pensionato metalmeccanico, difende la classe operaia che, si sa, va sempre in paradiso in compagnia, naturalmente, degli impiegati della pubblica amministrazione, ingiustamente offesi dal traditore Ichino.

Che i salariati e stipendiati italiani meritino il paradiso, se paragonati ai loro colleghi europei o statunitensi, resta una verità fuor di metafora, ma non è certo per colpa dei tesoretti di tre innocui personaggi dello showbiz che essi vivono una vita lavorativa d’inferno, dalla quale non vedono l’ora di affrancarsi.

Ben altrove si muovono gli artefici dell’usura psicofisica di cui soffrono gli aspiranti alla “pensione subito!” e il prof. Sen. Colombo li scoprirebbe agevolmente se guardasse entro la sua stessa area politico-culturale, risparmiandosi e risparmiandoci così il ridicolo di certa demagogia da osteria degli Appennini.

Se davvero di tesoretti vuol parlare, parli di quelli ai quali poco si presta il diminutivo etti, accumulati dai sindacati a scapito dei contribuenti lavoratori sulla pelle dei quali hanno fondato il loro strapotere, accresciuto i loro immensi beni e moltiplicato gli incalcolabili privilegi.

Un successo mietuto grazie a una serie infinita di leggi, riforme, controriforme che le OO.SS si sono ritagliate su misura per poter esercitare un controllo stretto su gli occupati, disoccupati o pensionati che fossero.

La sterminata normativa che inonda i ccnl, i contratti integrativi, lo statuto dei lavoratori, nonchè gli uffici di collocamento da terzo mondo, gli ispettorati e i tribunali del settore hanno sottratto al lavoratore dipendente (specie a quello meno qualificato) la facoltà di autopromuoversi, sviluppando capacità individuali di contrattazione diretta con il datore di lavoro.

Divenuta un vero e proprio centro di sottopotere, la triplice Cgil-Cisl e Uil ha abbandonato sempre di più il suo ruolo istituzionale di tutela del dipendente dentro l’azienda, trasformandosi in apparato affaristico-politico-burocratico, per mantenere il quale ha reso sempre più rigidi i rapporti e le condizioni interni al mercato del lavoro.

Anni di immobilismo statalista, con lunghi adempimenti burocratici da espletare ad ogni accesso all’impiego, hanno forzato chiunque a rimanere abbarbicato per tutta la vita a un unico posto, a costo di morire.

Come fa il sindacato a non opporsi ferocemente, quindi, alla riforma Biagi che libera il mercato rendendolo pericolosamente flessibile, sottraendolo al suo controllo?

Ormai “liberalizzati”, gli uffici di collocamento non sono più (da troppo poco tempo) quell’infamia che hanno rappresentato per decenni: sfiancanti forche caudine frapposte tra il cittadino e il suo diritto al lavoro.

Ma il povero Pautasso, attualmente operaio ultracinquantenne, sa cosa ha voluto dire giungere all’età lavorativa e doversi iscrivere per forza nelle liste di collocamento.

Ricorda bene quegli uffici lottizzati e gestiti dai sindacati dove lui andava quasi tutti i giorni a vedere se il suo nome si era mosso di qualche posizione, aspettando la chiamata come si aspetta l’estrazione dei numeri al lotto o sperando in una buona raccomandazione che riuscisse a smuovere un pochino gli assonnati funzionari. Sottoposto a lunghe e umilianti attese, costretto magari a rifiutare un’offerta di lavoro per chiamata diretta perchè vietata dalla legge, subiva già i primi colpi usuranti per mano del sistema e dei metodi sindacali...

(continua...)

Tags: Furio Colombo, Lavoro, Pensioni, Sindacati

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